Certo, il Colosseo non si può copiare ma il resto….
Un editoriale dopo aver visto il Rally di Roma Capitale dal vivo ed averne colto l'essenza a partire dallo start nel cuore di Roma
“…la sola cosa che non possono copiare è il Colosseo, un monumento mondiale…”
Ok, parto da qui. Da una frase di Max Rendina che, in un’intervista di poco più di un minuto, ha messo giù due-tre concetti essenziali su cui penso valga la pena di fare più di un ragionamento. Parole semplici e dirette che voglio commentare per poter tirare fuori qualche riflessione sul perché Roma dovrebbe far bene a tutto il movimento rallystico italiano. E se non riesce farlo c’è più di una domanda da porsi.
Può piacere o non piacere ma, Roma funziona
Non lo nego: ero tra le persone scettiche verso questa gara (ancor di più lo ero verso la prova spettacolo), pur riconoscendone le grandi doti organizzative ed una necessaria mentalità imprenditoriale che, di anno in anno, ha lavorato in primis su ste stessa. Ad ogni edizione non si contano le migliori, le novità, le innovazioni ed il risultato è una “gara-prodotto” che oggi funziona meravigliosamente. Max me lo diceva sempre e me lo ha ripetuto anche ai piedi del Colosseo: “per capirla, ci devi venire” ed è una verità sacrosanta.
Alla grande capacità di relazione con enti, istituzioni, media e realtà sportive, si mixa una costante voglia di osare che porta ad alzare l’asticella ogni anno.
Avrei voluto riprendere per mezzora Bruno De Pianto organizzare la parata nel cuore della città. Un uomo che aveva tutto in testa, che ha mosso ogni singola persona o macchina per fare in modo che tutto funzionasse. Ed ha funzionato. Le macchine hanno sfilato sul Circo Massimo ed in mezzo ad altre decine di meraviglie, tra la curiosità dei passanti, senza che nessun altro provasse ben che minimo disagio. Sarebbe stato un prodigio farlo in qualsiasi posto, farlo a Roma vale dieci volte tanto.
Per il resto parlano le immagini, che raccontano il desiderio da parte di tutti di regalarsi un momento memorabile ai piedi di uno dei monumenti più importanti al mondo. Per avere un ricordo e per dimostrare a chiunque che si può essere grandi anche se ci si chiama Rally, ormai una piccola periferia del motorsport. Solo la diretta tv non riesce a trasmettere le stesse sensazioni, necessariamente focalizzata sull’aspetto sportivo e quella che, di fatto, è una prova corta, semplice e bruttina ai piedi di una delle più belle meraviglie architettoniche al mondo.
Poi la gara che, a quel punto, diventa semplicemente la ciliegina su una torta confezionata alla perfezione. Prove belle, tempi rispettati, qualche sbavatura fisiologica per una gara di questa portata che viene colmata con la capacità di intervento tempestiva e precisa. E scelte ben ponderate, per fare in modo che tutta la Ciociaria possa mostrarsi nella sua bellezza inesplorata, come sfondo di quelle macchine che emanano già da sole un fascino unico e variopinto.
E quando tutto sembra finito, si parla già di futuro, di voglia di fare di più, di Circo Massimo. Dai, di cosa stiamo parlando?
Il Rally di Roma Capitale può diventare un modello da seguire?
Ovvio, il Colosseo è uno solo e quel fascino lì non può essere replicato. Tuttavia ho visto coi miei occhi come un contesto del genere possa diventare funzionale a tutti gli ambiti che compongono una gara.
C’è un contesto che diventa palcoscenico di contenuti che, sostanzialmente, si vendono da soli. C’è coinvolgimento intelligente e mirato verso i media che diventano un volano per tutte quelle istantanee che sponsor e team faticano a creare in autonomia. Il racconto si genera spontaneamente ed esce con una forza prorompente, creando una eco che rimbomba per almeno un paio di giorni e di cui la gara gode. Perché poi il rally nella sua essenza parte, è già su un binario giusto e può liberamente dare sfogo a quelle particolarità uniche le nostre nostre prove speciali hanno e che tutto il mondo ci invidia.
E quindi penso al resto dell’Italia, a tutte quelle gare che oggi finiscono confinate in zone industriali, parcheggi di centri commerciali o comunque in aree logisticamente comode ma che non hanno niente da offrire di quanto visto a Roma. E mi chiedo: se si può fermare il centro di Roma, veramente non è possibile far di meglio in altre città?
Qualcosa abbiamo intravisto ad Alba e, casualmente, è un’altra delle poche gare che si mostra in grande salute e crescita esponenziale. E dubito si tratti di un caso. Servono il coraggio e la voglia di osare, di provare ad uscire da una zona di comfort che oggi non è più ricetta adeguata per riuscire a costruire degli eventi che sappiano autoalimentarsi e, al tempo stesso, alimentare tutti gli attorni coinvolti ad ogni livello. Fino a prova contraria siamo il paese più bello del mondo e la voglia di dimostrarlo potrebbe essere una buona base di partenza, anche partendo da quei borghi più piccoli e interessanti che adesso vanno tanto di moda e dove, spesso, troviamo le gare che ci piace tanto seguire.
Per il resto le strade italiane non hanno niente da invidiare al resto del mondo e se proviamo ad inserirle dentro ad eventi che “somiglino” molto di più a progetti di pluriennali, forse riusciremo a smetterla di far vivere le gare solo ed esclusivamente sul numero degli iscritti. Con tutti i limiti e i rischi del caso.