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131 Abarth: quando le Fiat mordevano la strada

Fiat 131 Abarth Rally. Questa la denominazione completa di uno dei modelli rally più amati e più competitivi degli anni ’70 del secolo scorso.

Con quella sua sagoma inconfondibile, capace di dir tanto non solo alla tradizionale clientela di quella che, ahinoi, sempre più fu l’azienda del Lingotto, quest’elaborazione sportiva della 131 ha giocato un ruolo notevole per le ambizioni italiane nel rally, lasciando, dietro di sé, una traccia luminosa, estesa e ben visibile ancor oggi, quando il tema è la gloria sportiva su quattro ruote.

D’altra parte, quelle rare volte che, nella versione di automobile di serie che fu soprattutto, si riesca oggi a scorgerla passare lungo strade ordinarie, rigorosamente guidata da veri appassionati o da collezionisti che sanno il fatto loro, non è raro che qualcosa sobbalzi sotto il petto: è il battito del cuore che si fa più rapido, mentre, improvvisamente, i venti delle belle memorie soffiano forte per riportare la mente a certi porti di origine, quando, con gli occhi dell’infanzia, tutto sembra più grande, automobili comprese.

Principalmente, a vincere e convincere erano – e sono ancora – quelle infondibili linee, tese, pulite, compiute e ben modellate, che producono il senso d’una berlina con tutti i crismi per competere esteticamente contro concorrenti coeve dalle motorizzazioni più arrabbiate, come la BMW serie 3 o l’Audi 80, antenata della contemporanea A4.

Centrata com’era per i gusti della classe media italiana e nata nel 1974, vale a dire in un periodo assai particolare come quello della crisi energetica, raccolse abbondante credito pure fuori dei confini nazionali, conquistando una solida platea di affezionati, sui quali influirono anche le prestazioni di successo dimostrate sugli sterrati delle gare rally.

Va comunque preposto che, alla 131, i vertici Fiat arrivarono solo dopo aver accantonato il progetto della 1/9, un modello sportivo dalle forme originali e civettuole, disegnato da Marcello Gandini per conto di Nuccio Bertone già nel 1971, e al quale, su supervisione sempre della stessa Bertone, venne impiantata una motorizzazione Abarth. L’epilogo fu quello di un bolide che avrebbe dovuto sostituire la 124 Abarth, ossia quella che la Fiat aveva impiegato nei rally dei primi anni ‘70, e che diede subito ottimi risultati nelle prime prove cronometrate. Il motivo dell’esclusione, malgrado le doti di cavallo vincente, fu da ricercare nell’esigenza di prediligere un’auto a maggiore vocazione commerciale, rispetto a quella che avrebbe potuto rappresentare, tutt’al più, un attraente prodotto di nicchia.

Il calco al quale Abarth si applicò, inoltre, non fu la classica 131 a cinque porte, ma la sua versione coupé, con il compito della carrozzeria di nuovo affidato alla Bertone. E fu proprio sulla base di questa che nacque la prima evoluzione della 131 per la declinazione rally, sotto la sigla di progetto SE 031, destinato principalmente all’omologazione nel Gruppo 4, ma anche a quella nel Gruppo 5 per l’idoneità alle corse su asfalto.

A quest’approdo, però, la coupé Fiat cambia di molto rispetto al modello di partenza, cui, comunque, assicura lealtà stilistica grazie, ancora una volta, alla consulenza di Marcello Gandini, organico alla Bertone. L’unico elemento rimasto comune, infatti, è il passo, poiché le dimensioni mutano non di poco, a causa di interventi mirati a migliorare aerodinamica e deportanza. Quei rigonfiamenti che ne seguono lungo le fiancate, con la ragione anche di custodire una gommatura assai più voluminosa, e l’impennata del vistoso spoiler posteriore, tuttavia, lungi dal provocare perplessità, rappresentano un piacere ulteriore alla vista, suscitano naturalmente una sensazione gioiosa, alla maniera di un saporito condimento sopra una pietanza già di per sé succulenta. Sul piano meccanico, invece, oltre all’introduzione di sospensioni pensate per le fatiche dell’agone, i tecnici Abarth lavorano sodo sul 3.2 l della Fiat 130, aumentandone la volumetria di 300 cc e la cavalleria sino a 270 destrieri, in grado di portare alla velocità di 260 km/h.

Si capisce così perché, per quanto si trattasse di un prototipo che avrebbe dovuto introdurre quello definitivo destinato alle gare rally, venisse utilizzato per dargli subito strada nel 3° Giro d’Italia, sull’esempio seguito con un altro, passato prototipo, in sigla SE 030, lanciato in pista nell’edizione precedente. E’ l’Ottobre del 1975 e, con Giorgio Pianta al volante e Bruno Scabini al suo fianco, sarà subito il gradino più alto.

L’anno successivo, il 1976, è finalmente quello del debutto ufficiale dell’auto pronta per la dimensione del rally. Prodotta, come da regolamento, in 400 esemplari, con passaruota meno pronunciati e una coda più affinata, è una vettura che, nell’estetica, risulta “dimagrita”, cioè tornata più vicina al modello ordinario che era, tra l’altro, quanto nei desideri di partenza delle dirigenze Fiat ma a dieta risulta sottoposta anche la cubatura del motore, che ora dispone di un più snello 2.0 l, e, a mutare, è anche il fattore potenza, che ora decresce a 230 cv. Per il resto, l’esperienza del progetto 031 ha prodotto parecchio e questa 131 che raccoglie tutti i suoi indirizzi tecnici, rappresenta pure il tesoro che, all’Abarth, hanno tratto dal suo insegnamento.

Sarà il 1977, tuttavia, a far brillare la stella Fiat Abarth nella costellazione del rally mondiale. E’ questo, infatti, l’anno in cui la media a tre volumi, nella versione firmata Bertone, fa strage di posizioni nell’appuntamento Corso, consentendo alla Casa madre di assicurarsi il titolo Costruttori. Da qui fino al 1980, è una pioggia interminabile di soddisfazioni, sotto forma di piazzamenti e allori, spesso dorati quando andranno a cingere la testa di piloti del calibro di Markku Alen e Walter Rohrl.

Le annate successive, le ultime, saranno segnate da un declino controllato. La Fiat, infatti, riduce il numero degli equipaggi, e, in effetti, con l’eccezione di un oro conquistato da Alen in Portogallo nel 1981, l’onda dei risultati tende ad infrangersi fino a dissolversi sulla battigia dei finali dieci punti complessivi del 1982.

Prima d’essere definitivamente pensionata, la 131 Abarth avrà collezionato settantacinque corse, quarantasei podi complessivi, tre titoli per il Campionato Costruttori, due per quello Piloti. Un traguardo di tutto rispetto, che, però, non fa giustizia del suo speciale ruolo di alimento prezioso per il mondo del rally professionistico. Perché, come quei fuochi di gloria destinati a sopravvivere alle generazioni che li vissero in prima persona, anche quella manciata di anni dominati dalla luce abbagliante di questa stella, si rese indimenticabile, com’è ampiamente testimoniato dalle sue puntuali partecipazioni ai rally storici o amatoriali dei giorni d’oggi.

Come, difatti, sarebbe accaduto in seguito per la formidabile S4 o la Delta integrale, quando c’era una 131 Abarth in campo, le gare diventavano spettacolari in un modo tutto particolare. Forse perché tornava decisamente insolito che una tre volumi tanto ordinaria potesse trasformarsi in una belva da centinaia di cavalli, passando da strade regolamentate da prescrizioni codicistiche ispirate alla prudenza, a tracciati dove l’unica preoccupazione era – e rimane tutt’ora – quella di spingere al massimo la potenza del motore. Forse perché vederla spazzare via ogni concorrente durante un Mondiale, quello del 1977, ad appena un anno dal suo esordio ufficiale, avrebbe aperto l’iride di tanti italiani ad uno dei più bei sogni che si potessero immaginare nell’agone motoristico. O, forse, perché, ancora più semplicemente, quella “macchina” piaceva e basta. E, magari, sarebbe piaciuta pure se non avesse guadagnato alcun alloro e i suoi giri in pista fossero stati solo simbolici, come succede quando le Case madri decidono per il lancio promozionale delle loro vetture di serie. Perché così è se sono i gusti a prevalere. Son gusti, si dice appunto e non v’è altro che tenga.

Cosa sarebbe stato il rally senza quei piloti che lo hanno reso tanto avvincente e popolare, ma, soprattutto, cosa sarebbe stato senza quelle automobili che hanno permesso, a chi le cavalcava e proprio per le loro caratteristiche, di trasmettere tutto quel fuoco di emozioni tipiche delle sfide verso l’estremo? Come le pietre fondative di un edificio, quelle vetture, adeguate, trasformate o create appositamente per lo scopo, hanno retto e continuano a reggere l’impianto di un fenomeno sportivo di portata planetaria, di sicuro in continua evoluzione, ma sempre fedele a sé stesso, nella sua vocazione al coraggio e al rischio.

Ecco, di queste pietre la 131 Abarth fu una di quelle che, senza dubbio, fece da chiave di volta, magari oggi non più a portata d’occhio, ma sempre lì, fedele nel servire l’ideale, feconda nel fare di questo un presente unico ed emozionante. Ecco perché non è un caso che, oggi, l’Abarth abbia dedicato una versione speciale di una delle proprie attuali produzioni proprio a questa icona del passato: la 695 Tributo 131 Rally. Dentro il cofano motore di una Fiat 500 di base, un motore benzina 1.4 l T-Jet, turbo Garrett 1446, la bellezza impetuosa di 180 cv, in grado di ardire i 225 km/h, assetto sportivo ribassato, pinze freno Brembo, il tutto racchiuso nella livrea Blu Rally, la stessa tinta che fu uno dei manti ufficiali della 131 Abarth, solo intervallata dalla pece lucida del tetto e delle fasce laterali.

Un’icona, una leggenda, un originale segno del destino per il mondo della polvere e degli sterrati, probabilmente il precursore più attendibile delle Lancia che sarebbero venute, spazzando via ogni residuale dubbio sulla supremazia della firma motoristica tricolore. Un fuoco che avvampa ancora, emozionando cuori e menti, col potere di affascinare al rally le generazioni che verranno, comprese quelle dei piloti non ancora nati, che correranno guardando alla strada davanti, senza, però, dimenticare tutta quella fatta dietro, dove, magicamente, una Fiat 131 Abarth corre ancora.

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