Simone Campedelli a tutto tondo: “Una gioia immensa questo titolo. MRF? Con Vivek Ponnunsamy separati, ma senza rancore”.
Il driver romagnolo afferma inoltre di avere già un contratto siglato per il 2024
Malgrado stanchezza e stress stiano ancora lasciando scorci importanti e duraturi, Simone Campedelli sa di aver compiuto un autentico capolavoro e di aver aggiunto una preziosa gemma nel suo palmarès.
Il driver romagnolo è visibilmente raggiante e ci dedica un po’ del suo tempo per raccontarci le sensazioni dopo il Rally di Bassano e per fare un po’ di chiarezza sul repentino divorzio con Mentor Tyres, società che gestisce le attività sportive per conto di MRF.
Simone, è trascorsa una manciata di ore dalla cerimonia d’arrivo del Rally di Bassano. Hai metabolizzato questa importante vittoria? Come ti senti?
Non ci si fa mai l’abitudine a vincere, ma ovviamente sono felice ed emozionato. Si tratta del nono titolo vinto in vent’anni di carriera e questo non è un dato da sottovalutare. Sabato a Bassano ero contento ma non riuscivo a sprigionare fino in fondo i sentimenti e per una serie di motivi sto effettivamente iniziando a rendermene conto soltanto oggi. Sono stati mesi difficili e tesi, quasi facevo fatica a prendere sonno la notte a causa delle tante gare e dello stress che ne conseguiva. Inutile negare la difficoltà di cambiare in corso d’opera il fornitore dello pneumatico. Con MRF eravamo abituati a rincorrere l’avversario mentre con Pirelli si è condannati a vincere, pertanto emotivamente si è sottoposti ad importanti pressioni ulteriori. E’ andato tutto bene e siamo contenti di aver bissato il titolo con lo stesso gruppo di lavoro dello scorso anno formato da Tania, Step Five, tutta la Orange1 e gli altri importanti partners. Del Bassano che dire? Un rally sentito, affascinante e con un’atmosfera di altri tempi. Fumogeni, fuochi d’artificio e un pubblico talmente numeroso ma disciplinato e posizionato in sicurezza. I miei complimenti alla macchina organizzatrice!
Una cavalcata sul filo del rasoio e culminata nel lieto fine. Quale credi possa essere stato il momento chiave della stagione?
Non voglio peccare di presunzione, ma reputo che il momento chiave stia nella ripetizione della prova speciale “Campo Croce” del Rally di Bassano. Al primo giro abbiamo siglato il quinto tempo accusando quattro secondi abbondanti di ritardo da Albertini: un gap importante per appena undici chilometri cronometrati. In parco assistenza ho perciò cercato di lavorare su me stesso e la mia guida, andando a rivedermi il camera car per scovare gli errori e optare su una strategia non conservativa ma prettamente arrembante. Abbiamo infatti corso al limite e preceduto di soli 9 decimi lo stesso Albertini, dandogli probabilmente un colpo pesante che ci ha permesso di proseguire con maggiore fiducia e consapevolezza. Ovviamente non ne sono certo di questo ma credo, con tutta umiltà, che il titolo sia stato vinto proprio lì.
Si parla spesso di unificare CIAR, CIRT e CIRA per ottenere un campionato più completo e accessibile ad ogni tipo di vettura, comprese le Wrc. Pensi possa rappresentare davvero la soluzione idonea e definitiva per ritrovare lo smalto perduto?
Questo è un tema decisamente articolato per cui la medicina perfetta non esiste. Credo possa essere un ottimo compromesso unificare il tutto purché si vada ad ottenere un campionato con un cospicuo montepremi, composto da dieci eventi con otto risultati utili e un ragionevole turnover di gare. Chi come Alba e Roma merita di stare nel massimo campionato nazionale verrà inglobato, chi non merita starà fuori e non godrà di alcun aiuto politico come invece spesso accade. Anche il discorso vetture partecipanti è complesso, ma prenderò in considerazione la categoria Wrc. Per quanto siano macchine stupende e spettacolari, stiamo parlando di auto di ormai dieci anni e quindi già vecchie. Non saranno di certo loro a risollevare le sorti del movimento! Se poi si vogliono ad ogni costo, allora sarebbe opportuno creare una sottocategoria ad hoc. Concludo toccando anche il tema comunicazione. Aggiungere venti o settanta chilometri di PS non serve a niente se poi il programma comunicativo non è di primo valore. Aver inserito ragazzi giovani in Federazione che conoscono i nuovi canali di comunicazione è già un buon inizio, ma bisogna dargli fiducia e farli lavorare. Prima bisogna trovare il modo di gestire il campionato in forma strettamente imprenditoriale rendendolo un prodotto piacente e appetibile per tutti gli addetti ai lavori, sponsor compresi, e successivamente si potrà ritornare ai duecento chilometri tanto agognati ma con la consapevolezza di aver venduto questo prodotto nel modo corretto e che finalmente potrà sopperire ai costi maggiori per mezzo di investimenti mirati. Insomma, urge riformare le regole ed esaltare ciò che in questo momento si ha senza piangersi addosso. E lo dico anche ai giornali e testate di settore che hanno quasi sempre un taglio negativo, anziché positivo, di raccontare il nostro mondo.
Negli ultimi periodi gli addetti ai lavori hanno definito in crisi l’intero panorama italiano. Tu che vai spesso a correre all’estero percepisci davvero queste mancanze rispetto ad altri Paesi europei?
Posso assicurare che l’Italia non è morta, cambia soltanto la situazione socio-economica. E comunque i numeri parlano chiaro. Tante gare ed un numero di iscritti spesso superiore alle 100 auto. Qui amiamo il calcio, poi le moto e la Ferrari e quindi abbiamo maggiori opzioni di svago. In altri Paesi europei come ad esempio in Repubblica Ceca dove la vita è più tranquilla ed offre forse meno opportunità, è normale che nel weekend del Barum si scateni l’apoteosi. La popolazione gode di pochissimi eventi motoristici durante l’anno, e in quelle rare occasioni sprigiona in un’unica volta la propria passione. Ma non direi proprio che l’Italia si sia spenta. Semplicemente ha molteplici occasioni di dare adito alle proprie passioni e di conseguenza lo fa con più compostezza e ripetutamente nel tempo. Dal punto di vista del talento invece, nemmeno qui sono d’accordo. Daprà, Mabellini, Ledda e Trentin stanno dimostrando di saper andare forte, ma la Federazione dovrebbe fare una scelta e puntare su un solo cavallo come fece per cinque anni con Fabio Andolfi. La politica deve rimanere al di fuori dello sport se si vuole ritornare ad avere un esponente italiano nel mondiale. Dipendesse da me, i contributi economici li darei a Trentin e Ledda, due ragazzi di sedici anni. Li farei correre per un periodo uno contro l’altro per formarli anche psicologicamente e probabilmente al compimento del loro diciannovesimo anno avremmo un pilota ancora giovane ma già maturo per affacciarsi sul panorama internazionale e magari provare a vincere. Serve un cambio di strategia radicale e rapido, prendendo a modello realtà che già funzionano come ad esempio quella finlandese.
A più riprese hai ringraziato Orange1 e Armando Donazzan. Questa collaborazione potrà continuare anche nel 2024 nell’ERC?
Ho già un contratto per il 2024, ma stiamo ragionando ad un ampliamento pluriennale visto il grande rapporto che ci lega. Il gruppo è certamente consolidato con questo titolo appena conquistato, seppur con nuovi stimoli e obiettivi. La mia priorità è correre ancora in Europa con i colori di Orange1, però in un futuro prossimo non nego di voler rientrare nel CIAR per spezzare questa pressante egemonia dettata da un singolo pilota ma soprattutto per provare a riprendermi quel campionato che sento mi è stato tolto ingiustamente nel 2019. Questa idea rappresenta un sassolino che vorrei togliermi dalla scarpa! Verrà ovviamente data la priorità al team Step Five senza escludere altri scenari, il quale sta lavorando per mettermi a disposizione la nuova Skoda Fabia RS Rally2. Per quanto riguarda Armando, il nostro rapporto è andato ad intensificarsi quando ha deciso di mettersi il casco e di scegliere me e Tania come coach e credo potrà con un po’ di esperienza togliersi qualche bella gioia dietro al volante. Inoltre ha appena aperto un’associazione benefica che ci vedrà impegnati nel ruolo di educatori stradali per i giovani delle scuole.
Capitolo MRF. Il rapporto con il produttore indiano si è interrotto repentinamente… vuoi raccontarci qualcosa di più?
Innanzitutto voglio ringraziare l’azienda MRF per l’opportunità datami in questi tre anni e di avermi rilanciato in ambito internazionale e con i quali sono ancora in ottimi rapporti di stima non avendo chiuso la porta. Purtroppo nell’ultimo anno non mi sono sentito valorizzato come pilota dal management di Mentor Tyres, nella persona di Vivek Ponnusamy. Nonostante la fiducia datagli nel 2021 quando quasi nessuno credeva nel suo progetto permettendogli di vincere il titolo nazionale Terra nel 2021 con un lavoro di squadra al servizio di Paolo Andreucci, vincere il titolo Asfalto nel 2022 in casa di un colossale produttore concorrenziale e di essere in lizza per il bis nel 2023, per una mia maggiore tranquillità ho ritenuto fosse arrivato il momento giusto di cambiare aria senza rancore, senza sbattere le porte e nel modo più silenzioso possibile. Ne ho guadagnato in salute e alla fine il mio istinto ha avuto ragione. In futuro comunque non escluderei la possibilità di rivendermi in un progetto diretto con MRF.