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WRC 2023: un silenzio preoccupante a pochi giorni dal via

Mancano due settimane all'inizio del mondiale e qualcosa non torna. Più di qualcosa.

hyundai motorsport service

Lo direste che tra poco meno di 15 giorni prenderà il via l’edizione 2023 del World Rally Championship? Sentite nell’aria quella vibrazione di una nuova stagione che sta per iniziare, con tutte le incertezze e le attese tipiche di un nuovo racconto ancora tutto da scrivere?

Personalmente no. E da direttore di una testata giornalistica che ha nel WRC la sua categoria principale, non mi pare proprio il migliore dei segnali.

Chi mi conosce sa che non sono mai stato dalla parte dei disfattisti (e non succederà nemmeno quest’anno) ma, vivo questi giorni che ci porteranno all’edizione numero novantuno del Rallye Monte-Carlo con una serie di strane sensazioni che spero di potermi scrollare di dosso condividendole con chi ci legge. Un mix di speranze e paure, scritte di getto da chi spera che anche nel 2023 avremo di che emozionarci e raccontarci e che il futuro della nostra disciplina possa iniziare ad avere un colore diverso dal grigio.

Le premesse sportive

Ve la metto giù dalla prospettiva più positiva ed ottimistica: quelli che sono attualmente i tre migliori piloti del lotto, si sono distribuiti tra i tre principali team della classifica costruttori. Sulla carta una situazione a dir poco perfetta. Per capacità di andare forte in ogni superficie, per esperienza, per pacchetto tecnico con un anno di evoluzione sulle spalle, Rovanpera, Tanak e Neuville partono dallo stesso punto e ad oggi hanno tutto per pensare di poter vincere il titolo.

Una bella condizione di equilibrio che permette oggi di pensare ad un campionato equilibrato, combattuto ed incerto dall’inizio alla fine.

L’altro lato della medaglia

Le decisioni di Hyundai e l’affare Tanak con M-Sport hanno rimescolato parecchio le carte del mercato privati. Nonostante quel che erano le premesse e i sogni del regolamento delle ibride (a tal proposito, leggetevi questo articolo magnifico sulla genesi dell’attuale regolamento), i sedili delle Rally1 sono sempre gli stessi e sono molto pochi. C’è più di un segnale che lascia pensare che ad aggiudicarseli sarà sempre più spesso chi è disposto ad offrire di più e, spesso e volentieri, questo non coincide con quei piloti in grado di andare forte come i primi tre.

Rischia di aumentare quindi il divario tra i “favolosi tre”, i loro gregari e quella schiera di piloti di terza fascia che abbiamo sempre cercato di seguire con interesse ma che, vuoi o non vuoi, offrono qualcosa meno in termini di performance e spettacolo.

Un format “stantio”

Si prosegue per abitudine, anno dopo anno. Ricalcando gli approcci più sicuri e che “funzionano da sempre”, rivendicando un certo attaccamento alla tradizione e senza correre troppi rischi dal punto di vista dell’apporto di novità. Ogni nuova stagione ha come metro di paragone quelle precedenti, con un immediato richiamo ai tempi d’oro dove tutto era meglio sempre e comunque.

É inevitabile e non viene in alcun modo evitato, con l’effetto immediato di far disamorare gli appassionati storici senza attirare l’attenzione di nessun altro. Della serie: “non è il coraggio che mi manca ma è la paura che mi frega.”

Manca la voglia di mettere pepe alle stagione, di analizzare cosa ha funzionato e cosa no per cercare di correggerlo. Di incidere sul format per aggiungere tutti quegli elementi di discussione e di incertezza che servono per tenere le persone attaccate ad uno sport. Magari cercando di tirare ancora più in ballo i piloti, che dovrebbero riprendere a farsi promotori del loro mondo. Il promoter lavora su una fan base che già esiste e si concentra poco sull’allargarla, la Federazione pare non porsi proprio il problema rally.

La Dakar fa discutere, spesso sbaglia nelle proprie decisioni ma, ogni anno cerca di rimettersi in discussione per offrire uno spettacolo che stia al passo coi tempi, senza dimenticare da dove è venuta. Che sia la strada giusta non ne sono certo ma, a conti fatti, c’è sempre vita attorno alla Dakar.

Una vita che attorno al WRC sembra ridursi sempre di più e che si risveglia solo rispolverando vecchi ricordi.

La mancanza di prospettive

L’ultima volta che Ben Sulayem ha parlato di WRC è stato qualche settimana fa a Bologna, in occasione del Prize Giving della FIA. Frasi di circostanza, necessarie in una cerimonia di premiazione di fine stagione ma, che non aiutano il mondiale rally ad uscire da questo limbo. Nessuna proposta, nessuna iniziativa che non sia l’insistere su una strada che doveva seguire il mercato dell’auto (abbastanza confuso già di suo) col risultato che nessuna casa ha in progetto di costruire una Rally1 e anche quelle che pensano alle Rally2 son sempre di meno.

Quando si era presentato, la speranza riponeva nel fatto che è sempre stato un uomo di rally, che conosceva la materia avendola vissuta in prima persona. Ad oggi, poter dire che si sia vista la sua mano in qualche ambito è molto complicato. Forse qualcosa nell’ERC che, comunque, deve un po’ di movimento all’arrivo del promoter più che ad un intervento a livello governativo.

Che la scelta di passare all’ibrido sia stata fallimentare è ormai stato assodato, che sia necessario ripensare a tutto, e non soltanto al regolamento tecnico, è la logica conseguenza a cui qualcuno deve prima o poi arrivare.

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