Rally di Sardegna 2018. L’indimenticabile esplosione del rischio in gara
Una profonda dissertazione sull'animo dei piloti prendendo spunto da quella incredibile gara
Fin dall’età della Roma classica, l’ipotesi di un rischio connesso ad una causa maggiore, un fatto non prevedibile dall’uomo e non dipendente dalla sua volontà, aveva fatto breccia al punto da configurare un’autonoma fattispecie, contemplata e fatta pesare dallo ius.
D’altra parte, risalente proprio al diritto romano, anche se con radici negli usi di mare dell’antica Grecia, era pure il cosiddetto fenus nauticum, una forma di prestito a cambio marittimo la cui prassi conservò vigore fin nel Basso Medioevo. In virtù di esso, il mercante otteneva di finanziare sia l’acquisto della merce che intendeva trasportare, sia il costo dello stesso viaggio in nave. Proprio a causa dell’elevato rischio connesso ai pericoli dei tragitti per mare, chi prestava danaro allo scopo pretendeva un forte ma legittimo interesse sul capitale concesso. Da esso, in seguito ad evoluzioni legate ad esigenze di semplificazione, avvertite sempre dalla classe mercantile, sarebbe poi sorto il contratto di assicurazione, proprio nella formula in cui è conosciuta oggidì.
In tutti questi casi, il rischio era valutato alla maniera di un elemento fuori della misura dell’umana capienza di previsione, di cui tener conto e da cui proteggersi, ma, comunque, d’avversare e, soprattutto, da evitare il più possibile.
Nel rally, invece, ma, d’altronde, come in tutte le declinazioni dell’automobilismo sportivo, il rischio è una fetta integrante e importante della coscienza agonistica. Anzi, va volentieri oltre: esso, addirittura, rappresenta un fondamentale obiettivo, desiderato e ambito scientemente, anche se, nello stesso tempo, tenuto sempre sotto controllo dalla briglia del calcolo e delle abilità personali.
Probabilmente, a questo proposito, tra le manifestazioni rallistiche più recenti, quella che più ha saputo imprimersi nella memoria di affezionati e praticanti del settore, è stata quella del Rally di Sardegna del 2018, naturalmente corsa sotto le insegne del WRC. Ciò perché questa manifestazione sarda ebbe a proporre tali e tanti di quegli episodi, nei quali è risaltato quanto l’affronto del rischio sia un inevitabile e ben accetto, comune denominatore dell’intero canovaccio del pilotare, che, ad oggi, essa può adeguatamente figurare un parametro per chiunque voglia farsi un’idea di cosa significhi in profondità una moderna gara di rally.
Era il 7 di Giugno, un giorno dell’anno in cui, solitamente, gli ultimi caldi della Primavera somigliano più a quelli dell’Estate ormai alle porte. Teatro dell’evento, corrispondente alla settima tappa del Campionato del Mondo Rally WRC 2018 e al quindicesimo Campionato Rally Italia Sardegna, il territorio di Alghero, vale a dire una tra le aree più suggestive del Sassarese, a Settentrione dell’isola che fu dei Presidenti Segni e Cossiga, con percorsi di prevalente sterrato che si sviluppano secondo irregolari sentieri, tra una vegetazione di macchia mediterranea che ricorda molto da vicino altre aree dell’Europa meridionale.
Di lì a ventiquattr’ore, davanti ai nastri di partenza della gara vera e propria, sotto l’occhio vigile del direttore Lucio De Mori, si sarebbero predisposti piloti del calibro di Sebastien Ogier, Jari Matti Latvala, Thierry Neuville, Ott Tanak, Esapekka Lappi, Mads Ostberg, Craig Breen, Hayden Paddon, insieme ad altri ancora ai quali le cronache sportive attribuiscono, di regola, spazi abbondanti e puntuali.
La lieve brezza, spirante dal vicino e cheto mare, avrebbe presto fatto tutt’uno con l’ebrezza di quella velocità che, in tutti gli eventi di rally e a differenza di quella sperimentabile in un circuito di Formula 1, si arricchisce di un contorno naturale e continuamente variabile. Come se, quasi con un debole per il rally, il Creato stesso mai voglia mancare di render visibile la propria reale presenza e con l’accortezza, nel farlo, di mai annoiare.
Sui rilievi circostanti l’itinerario, al riparo di piccole alture collinari o lungo bordi delimitati da segnature di sicurezza, si sarebbero materializzati nutriti cordoni di spettatori in religiosa attesa di veder sfrecciare i propri adorati beniamini, mentre, intramezzate fra loro, con sofisticate attrezzature fotografiche a tracolla o anche armate di un semplice cellulare, frotte di appassionati avrebbero pazientato, come in una solerte, santificante prova di fede, pur di catturare l’attimo più emozionante del passaggio di bolidi dalla carrozzeria ricavata da semplici auto di serie.
Quella prima data sarà solo un assaggio, quello d’una prova speciale spazialmente assai limitata, appena un paio di chilometri, ma scenicamente spettacolare, da concentrarsi, pure con la sua folla di contorno, nel noto circuito rallycross di Ittiri Arena. Un’esaltante fase introduttiva, quel che appena servirà per scaldare cuori e motori, che torneranno a rombare il giorno appresso, per una distanza complessiva di quasi 320 km, suddivisa in due decine di prove speciali. Tula, Castelsardo, Tergu Osilo e Olmedo, queste le località coinvolte dalla mappa, per un numero complessivo di otto cronometrate.
Il 9 di Giugno, ad attendere i concorrenti sono quasi 150 km, che si distribuiscono tra i momenti di Monte Lerno, Monti di Alà, Coiluna Olelle, con una parentesi di nuovo presso Ittiri Arena. Assegnati, infine, al 10, l’ultimo dei giorni in cronoprogramma, cadente di Domenica, poco più d’una quarantina di chilometri, che coinvolgono i passaggi di Cala Flumini e della Sassari-Argentiera.
Sarà in questo scenario temporale così definito, che andrà collocato il rincorrersi d’una serie di eventi capaci di far brillare quel rischio che ogni vero pilota di rally ama e accoglie intimamente, come giusto prezzo della vittoria cui agogna.
Già durante la seconda giornata, il norvegese Andreas Mikkelsen, navigato dal connazionale Anders Jaeger su Hyundai i20, dopo essersi impantanato tra la mota acquosa di una curva e aver ripreso la marcia, non riuscirà a sostenere la traiettoria lungo un successivo tratto di nuovo in curva, al solito per aver cercato, puntato, sfidato il rischio connesso ad una forsennata velocità, rovinando contro una delle balle di paglia di protezione situate a margine del percorso, finendo, perfino, per incendiarne una e, così, sospendendo temporaneamente la propria gara.
L’irlandese Craig Breen troverà la fortuna di veder la propria Citroen C3 non lasciarsi bloccare a lungo nell’anfratto di una stretta curva, dove finisce per aver troppo tirato, anch’egli, la corda della velocità, complice la superficie melmosa di un tratto particolarmente sostenuto.
Il campione estone Ott Tanak, con il fianco destro occupato dal suo navigatore Martin Jarveoja, nel planare dalla sommità d’un dosso sul quale si era lanciato con la sua solita, energica, impavida foga, ottiene di danneggiare la carena inferiore del muso della sua Toyota Yaris, così venendo costretto a rallentare e a cercare il lato della carreggiata per parcheggiare.
A non essere risparmiato dalle complicazioni, sarà pure l’orgoglio finnico di Jari Matti Latvala, capo equipaggio di una Yaris della Toyota Gazoo Racing. Ma, stavolta, malgrado un terzo piazzamento assoluto alla fine della prova, all’incontro col rischio si sostituirà un banale guasto meccanico, successo durante uno dei trasferimenti lungo una strada ordinaria. Davanti alle telecamere ufficiali dell’ente organizzatore, lo si osserverà, quasi con compassione, mentre, insieme al proprio co-pilota Miikka Anttilla, proverà dapprima a spingere di braccia la vettura, per infine fermarsi arreso, dopo aver sbattuto la portiera del lato guida con vana, dolorosa, sfinita rabbia.
Di colpi di scena provocati dal coraggioso affronto del rischio da parte di ciascun concorrente, continueranno a pioverne durante anche la terza e la quarta giornata, ma, probabilmente, il fenomeno di maggior sublimazione venne da quella che, a tutti gli effetti, fu una duplice, contemporanea sfida, visibile dall’inizio alla fine della tappa sarda: una, quella al rischio appunto, l’altra, con la quale stette accavallata alla prima per tutte e quattro le giornate, quella tra le due migliori punte dell’intera competizione, vale a dire il francese Sebastien Ogier e il belga Thierry Neuville.
In un’altra era, quando il concetto di sport non esisteva che, ormai, erano trascorsi dieci secoli da che furono celebrate le ultime Olimpiadi greche, l’unico appuntamento pubblico di rilevante pregio che, in qualche modo, richiamasse uno scontro che non dovesse avere un risvolto necessariamente sanguinario, era il torneo cortese tra cavalieri armati di lancia e con l’unica ambizione a disarcionare l’avversario dal suo destriero. Quanto al calcio storico, che si prese a praticare tra le vie di Firenze intorno al Rinascimento, più che d’una disciplina sportiva vera e propria, almeno in origine, si trattava di una violenta zuffa cercata e pretestata dall’esigenza di movimentare una palla.
Ora, se Neuville e Ogier fossero vissuti appena qualche secolo prima, quando dei motori a combustione non c’era manco l’immaginazione, ma si fossero trovati forniti d’una spada da lato e di tanta voglia di cimentarsi per provare il proprio valore e guadagnarsi un attimo di gloria, è forse probabile che, ricorrendo la circostanza di un incontro finito dubbiosamente, i due avrebbero anche ben potuto convenire di passare alle ragioni del ferro, lanciandosi in un duello il cui termine avrebbe decretato un trionfatore, anche nei cuori delle dame.
In quei giorni della prima decade di Giugno di tre anni fa, invece, i due non avevano che una prestazionale auto da rally ciascuno per incrociarsi, insieme ad un medesimo spartito sul quale dar fuoco a tutte le proprie qualità individuali di atleti delle quattro ruote.
Le prime scintille si elevarono alte e lucenti già durante l’appuntamento di apertura sul circuito dell’Ittiri Arena, con la coppia di campioni subito intenti a strofinare la selce dello spirito di concorrenza sulla straordinaria pietra del rischio. In questa prima occasione, dopo una galoppata capace di tenere gli spettatori con il fiato sospeso per poco oltre i due minuti, Sebastien Ogier avrà la meglio sull’antagonista belgico per appena sette decimi di secondo.
Sarà ancora Ogier, nel corso della seconda giornata, lungo il passaggio di Tula-Erula, a staccare il contendente con un’importante differenza di quasi venti secondi, di fatto mantenendo invariato il vantaggio al termine delle successive speciali.
Il dì seguente segnerà la rimonta di Neuville, che, prima sul percorso di Monte Lerno, riuscirà a distanziarsi di quindici secondi dal francese di Gap, poi, nella pista di Ittiri Arena, ne guadagnerà altri due sempre su di lui. Presso Coiluna Loelle, invece, sarà Ogier a strappare quattro secondi al belga, che non tarderà a rispondere nella parziale dei Monti di Alà, dove riuscirà ad assicurare due secondi e mezzo al proprio vantaggio. Infine, nell’altra di Monte Lerno, i due realizzeranno una perfetta parità di forze, concludendo sostanzialmente nello stesso tempo e dimostrando, così, se non fosse stato ancora chiaro, di equivalersi in termini di audacia e di maturità tecnica.
All’estremo giro di posta, quello del finale quarto giorno, costituito da quattro brevi prove, si arriverà con l’aria impregnata da un’esaltazione che, ormai, pervade tutti gli spettatori, e non solo quelli più fortunati per poter assistere dal vivo anche solo a pochi spezzoni delle traiettorie. Davanti agli occhi del mondo, grazie ai canali telematici dell’organizzazione, sta andando in scena l’ultimo atto di uno degli episodi più singolari dell’intero campionato. Due uomini, due piloti eccezionali, stanno per decidere chi, tra loro, potrà passare per primo attraverso la porta della gloria.
Nell’iniziale crono di Cala Flumini, sarà Neuville a brillare, anche se assai di poco, appena otto decimi sul rivale. E continuerà così, ad accorciare ancora, sia pure di decimi, anche all’Argentiera e, poi, di nuovo a Cala Flumini. Quando si arriva alla seconda dell’Argentiera, la tensione è così alta che, poco prima della partenza, nei padiglioni delle rispettive squadre, domina un profondo, quasi innaturale silenzio. Sarà Thierry Neuville a partire per primo, concludendo in 4’52”9, quanto basta per dominare sul degno Sebastien Ogier, sotto di soli sette, fatali decimi e, al quale, verranno tributati meritati onori delle armi.
L’alloro di quella grandezza che, ad ogni essere umano, viene per aver portato guerra vittoriosa al rischio, sfidandone le mille incognite insieme pure a chi si improvvisi un suo speciale soldato, quale può essere un concorrente di medesima levatura, andò a cingere il capo del vallone di Sankt Vith, al quale, dunque, competé di ricordare ai propri simili quanto con il coraggio si possa ottenere, se si fida di sé stessi mentre sé stessi si sfida.