Mille Miglia – La storia del rally ha radici italiane
94 anni fa si correva per la prima volta una delle gare su strada più leggendarie di sempre
Se si potesse parlare d’una preistoria dei rally, il primo paletto temporale finirebbe probabilmente piantato nel 1927.
Un anno, questo, generoso foriero di novità, alcune delle quali saranno capitali per il progresso umano. Come quelle in ambito tecnologico, col primo ponte televisivo tra Nuova York e Washington e, poco dopo, la prima linea telefonica intercontinentale che collegherà gli Stati Uniti d’America alla Gran Bretagna.
In Italia, invece, a distanza di diciassette anni dall’istituzione della Nazionale di calcio, viene lanciata la Nazionale giovanile. Sarà la prima Under 23 nella storia calcistica del Bel Paese. Poco prima dell’Estate, nasce anche l’A.S. Roma, frutto dell’aggregazione delle società Roman, Alba e Fortitudo.
Ma, ad un momento così importante per la epopea tricolore del pallone, se ne associa un altro, altrettanto rilevante, anzi fondamentale per quella che è una disciplina che, nei decenni iniziali del Novecento, sta muovendo quelli che potrebbero essere definiti secondi passi. Si tratta dell’automobilismo sportivo, il quale è ancora ben lontano dal contare le numerose declinazioni note al giorno d’oggi.
Il 26 di Marzo, poco dopo mezzogiorno, nella città di Brescia, decine e decine di automobili iniziano ad avviarsi tra rombi e sbuffi. Il primo vagito di motori destinati ad entrare nel mito s’insinua nella dolce atmosfera della Primavera da poco iniziata.
Il punto di raduno è in viale Venezia. Qui, settantasette bolidi cominciano a rombare in attesa di sfrecciare verso le porte della città che, per il coraggio dimostrato nelle Dieci Giornate di risorgimentale memoria, fu appellata Leonessa d’Italia nei Canti Patrii del poeta Aleardo Aleardi.
Non è la prima gara automobilistica su strada nella storia italiana. La prima in assoluto fu la Torino-Asti, avvenuta nel 1895, un anno dopo la Parigi-Rouen, l’ava di tutte le competizioni di rango su quattro ruote.
Però, è la prima su strada dacché, in Italia, esistano i circuiti, il primo dei quali, per cui possa parlarsene con dignità tecnica e rilievo internazionale, è quello di Monza, creato nel 1922. Davanti agli equipaggi – perché di equipaggi si tratta, considerando che, accanto al pilota, siede quasi sempre un navigatore – un percorso che, da Brescia, punta a Roma, per poi rifare mèta di nuovo a Brescia. Un tragitto che si sviluppa in linea, vale a dire senza tappe intermedie. Una corsa alla quale si partecipa tutto d’un fiato, come si manda giù un calice di spumante al brindisi dell’ultimo dell’anno.
Le strade dell’epoca sono tutt’altro che devote all’asfalto. A tratti meglio messi nel manto, se ne alternano numerosi altri composti d’onesto sterrato, con nuvole di polvere e pietruzze che si sollevano puntualmente al passaggio delle vetture gareggianti, in maggioranza con carrozzeria spider o cabrio.
Ma, all’interno d’ogni abitacolo, c’è gente che vive di passione per la guida sportiva e per le fatiche che questa necessariamente comporta. Non solo non spaventano le caratteristiche impegnative del percorso, ma neppure la distanza, che è quella tipica d’una gara di gran fondo, con quelle mille miglia che fanno la distanza complessiva da coprire e che daranno il nome alla competizione (anche se il titolo preciso sarà “Coppa delle Mille Miglia”, mentre il soprannome sarà “Freccia Rossa”). E miglia, sia chiaro, non secondo il canone metrico comune, ma secondo quello britannico, in gergo dette imperiali (la corrispondente distanza in chilometri è di 1628,20).
Ma, soprattutto, al volante ci sono uomini che hanno creduto alla sfida degli ideatori di quello speciale torneo, quattro uomini in cui l’orgoglio d’esser Bresciani ha fatto da prepotente motivazione, determinata volontà, irresistibile propulsione alla nascita di quella che Enzo Ferrari definirà la “corsa più bella del mondo”. Quattro personaggi in cui la reazione alla decisione di privare la propria amata urbe del Gran Premio d’Italia, stabilito a Monza appunto dal 1927, finisce per sfociare nell’ideazione di un’alternativa che fosse altrettanto vincente e che trovasse in Brescia il principio e la fine, come in una pista sono linea di partenza e traguardo.
Giovanni Canestrini, Renzo Castagneto, Franco Mazzotti e Aymo Maggi. Questi i loro nomi, oggi istoriati nel marmo d’una memoria che continua ad emozionare, come se quel filo rosso con il quale essi cominciarono a ricamare in nome dell’amore per la velocità su quattro ruote, abbia continuato da sé ad accrescere la tela d’una storia di cui non si vuole mai veder il termine.
Nato in Sicilia ma d’origini trentine, con una laurea in ingegneria e una genuina passione per lo sport, al punto d’aver esercitato anche il ruolo di arbitro di calcio, Giovanni Canestrini scriveva di automobilismo per la Gazzetta dello Sport e, sempre nel settore motoristico, pose firma a diversa letteratura che trovò una naturale leva preziosa nelle conoscenze tecniche derivanti dai suoi studi universitari.
Renzo Castagneto è colui che, tra i quattro, oltre ad essere pilota, ha competenza in materia di organizzazione di corse automobilistiche. La sua impronta di fine ordinatore nella “Mille Miglia” sarà riconoscibile, d’altronde, anche in altri simili eventi posteriori. Il suo contributo al mondo agonistico fu talmente intenso, da finire per esser suggellato dall’erezione d’un suo busto proprio nei pressi del viale d’avvio della prestigiosa manifestazione.
Pilota automobilistico e aeronautico, col pallino parallelo del calcio anch’egli, Franco Mazzotti è invece colui che sovvenziona la prima esperienza della “Mille Miglia”, alla quale parteciperà nell’anno successivo a quello di debutto, conseguendo financo un podio. Di lui, ancor oggi, si serba un ricordo eroico, considerando che la sua morte avvenne in volo, durante la Seconda Guerra Mondiale, abbattuto dal fuoco di aviogetti inglesi, mentre trasportava in Italia un nucleo di compatrioti dalla colonia libica.
L’ultimo dei quattro moschettieri – come furono anche soprannominati i padri fondatori – è Aymo Maggi, un aristocratico bresciano con una passione viscerale per lo sterzo. Le sue mani lo cingeranno in occasione della “Mille Miglia”, ma pure di varie altre gare, soprattutto crono in salita, nelle quali si segnalerà sempre con discreti risultati.
Con una media di crociera di poco oltre i 77 km/h e un complessivo tempo di percorrenza d’appena più di ventuno ore, il traguardo di quella prima prova venne tagliato da una OM 665 Superba, guidata da una squadra composta da Ferdinando Minoia e Giuseppe Morandi, entrambi lombardi. Invero, anche il secondo e il terzo posto toccarono ad equipaggi iscritti con lo stesso modello.
Il tracciato si sviluppava tra Lombardia, Veneto, Romagna, Lazio, Marche, Umbria e Toscana, lambendo città e paesi, talvolta anche assai piccoli, come Radicofani, in Val d’Orcia, che oggi fa da residenza a poco più di mille anime ma che è rimasta una cittadina votata ai rally.
Negli anni seguenti, pur rimanendo sostanzialmente inalterata la distanza e, dunque, il diritto a quella così intrigante sigla, il percorso subisce modificazioni che portano nomi di nuovi centri ad esser coinvolti dal suo spiegarsi.
Tra i concorrenti, poi, si faranno avanti piloti dotati già di notevole fama, come Tazio Nuvolari o Giuseppe Campari e, in fasi ancora posteriori, Juan Manuel Fangio, Alberto Ascari, Sterling Moss.
Come un fuoco che può contare su legna in abbondanza per alimentarsi, dopo già solo lo svolgimento della prima gara, dopo quelle che furono le prime vampe, la fiamma dell’entusiasmo salì a contagiare l’aria tutt’attorno, quella respirata soprattutto da chi, per ragioni di professione, si trovò a raccontare e, così, a trasmettere all’intero Bel Paese, verso quali lidi d’esaltazione potesse condurre la grande velocità su comuni arterie.
Perché l’ingrediente più intimo del successo di questa gara fu proprio quest’elemento, singolare e spettacolare già per quell’era: autovetture derivanti da produzioni di serie ma dotate d’una potenza idonea pure ai circuiti, lanciate su strade di tutti i giorni, con le loro caratteristiche e le loro difficoltà. Questa la ragione di base per cui la “Mille Miglia” è da considerare la progenitrice dei Rally come li conosciamo oggi.
Di questa essa mostrò anche le prime consuetudini, come la compagnia d’un navigatore a fianco del pilota o come anche i rischi, non solo chi fosse alla guida, ma pure per quelle ali di folla che s’assiepava eccitata ai confini delle carreggiate. D’altra parte, fu proprio per un incidente mortale occorso alla massa spettatrice, durante l’edizione del 1938, nei paraggi di Bologna, con circa una decina di bambini falciati da una Lancia in corsa, che la “Mille Miglia” fu sospesa, come lo fu, da quel momento, ogni altro cimento automobilistico che fosse in programma su strada.
E sarà di nuovo per un incidente – accaduto in territorio mantovano e, stavolta, costato la vita sia di spettatori, tra cui di nuovo alcuni bambini, sia di un pilota – la ragione per cui, nel 1957, a distanza d’un decennio esatto dalla ripresa della manifestazione, questa conoscerà una nuova drammatica interruzione.
Nell’anno successivo, si proverà a rianimare l’evento inaugurando un giro della stessa estensione, ma secondo un modulo che alternava regolarità a velocità, in ciò chiamando ancor più in causa i moderni canoni del rally. Scomparirà, inoltre, l’originaria denominazione di “Coppa delle Mille Miglia”. La gara verrà chiamata semplicemente “Mille Miglia” e, rinunziando a coinvolgere Roma e qualunque regione centrale, diverrà una esclusiva del Nord d’Italia. Questa nuova impostazione, alla quale verranno apportate comunque modifiche durante gli appuntamenti successivi, durerà fino al 1961, quando, dell’originaria fiamma, si spense anche quel fievole lume ch’era rimasto.
Bisognerà attendere oltre quindici anni perché il cuore di questa magica competizione torni a battere. Avverrà nel 1977, per impulso della sezione bresciana dell’Automobile Club, che istituirà il “Rally delle Mille Miglia”. Stavolta una gara di sola regolarità, alla quale potranno partecipare squadre a bordo unicamente di automobili risultanti iscritte ad una delle edizioni passate. Lo stesso anno nasce anche il Rally 1000 Miglia nella formula che conosciamo oggi raccogliendo così il testimone per quanto riguarda la parte competitiva della gara.
Nel 2012, per una sorta di naturale gemmazione, si costituisce perfino una società dedicata, comunque presenziata dall’ACI di Brescia, con lo scopo ambizioso non solo di curare gli aspetti legati alla promozione e all’organizzazione di quello che, ormai, è diventata un momento di rievocazione, ma pure di sostenere il Made in Italy nel mondo.
Da diciassette anni, presso il monastero di Sant’Eufemia della Fonte, un quartiere di Brescia, sorge poi il Museo della Mille Miglia, una struttura con la missione esclusiva di ospitare immagini e cimeli che permettano di rivivere il calore della manifestazione nei suoi diversi periodi di vita.
A testimonianza, questa, di quanto la stessa municipalità lombarda avverta fieramente la Mille Miglia non solo alla maniera d’un momento saliente di storia civica, ma anche come un patrimonio di valori da trasmettere, una tradizione da eternare a giovamento d’una memoria continuamente vivificante.
Oggi, se è un dato vero che, per andar nota positivamente nel mondo, l’Italia debba tanto anche alla propria industria motoristica sportiva, con storici marchi come Ferrari, Maserati o Alfa Romeo che, nel tempo, ne hanno nutrito il prestigio, lo è altrettanto che, per affondar tanto nel terreno della gloria, un ruolo importante sia stato rivestito anche da signorili epifanie come la Mille Miglia.
Ed ecco anche perché, tra i diversi capitoli iniziali che compongono la storia dell’automobilismo sportivo, quello della “Mille Miglia” può iniziarsi a leggere solo dopo un … devoto inchino.