Quattro buone ragioni per cui i rally dovrebbero fermarsi oggi
Una riflessione "a voce alta" su come il presente stia danneggiando il futuro
Potrà esservi sembrato strano leggere un titolo del genere sulla testata che dirigo e, probabilmente, non avete tutti i torti. D’altronde fermare le gare oggi significherebbe riportare l’intera redazione nell’oblio già vissuto a marzo e, comunque, vorrebbe dire privarci di qualcosa che riempie le nostre giornate (e vite) da ormai diverso tempo.
Tuttavia anche il più ottuso e cieco degli appassionati oggi inizierebbe a percepire la sensazione che tutto stia prendendo una piega poco piacevole che merita più di una riflessione. I calendari nazionali ed internazionali si trascinano nella totale incertezza, siamo tutti aggrappati ad una stagione che perde di senso ogni giorno che passa e anche le prospettive future (come se non fosse bastato il cambio regolamentare all’orizzonte) offrono più dubbi che attrattive.
Probabilmente anche il mio pensiero potrà risultare discutibile e mostrerà dei difetti ma, ci sono almeno quattro punti che accomunano le gare nazionali ed internazionali che mi portano a pensare che sia arrivato il momento di dire stop in attesa che arrivino giorni migliori.
L’aspetto sportivo
Gare accorciate nei giorni e nei chilometraggi, categorie diverse spesso accorpate, numero di gare ridotto (praticamente dimezzato per il WRC) e gare posizionate “fuori stagione” sono solo alcune delle variazioni che si sono rese necessarie per riuscire a riprendere i vari campionati. Decisioni praticamente obbligate a livello nazionale dove anche l’ultima casa ufficiale ha praticamente deposto le armi (PSA è impegnata nel CIR ma in minima parte) e favorire al massimo i singoli privati è diventato motivo di sopravvivenza.
A pagare il conto di questa “nuova dimensione” paradossalmente saranno coloro che vinceranno i singoli titoli. Anche se è vero che negli albi ci va solo il nome e non il percorso verso un titolo, è innegabile che il peso specifico sia diverso.
O vogliamo sostenere che un Evans campione del mondo 2020 (e se lo sarebbe meritato alla grande) con sette gare disputate varrebbe come un Tanak campione del mondo 2019 dopo 13 round mondiali?
La natura dei rally e quei “pericolosi” precedenti
Era normale pensare alla pista: tribune, recinzioni e possibilità di tenere il pubblico a bada in modo semplice e meno impattante dal punto di vista economico era ovvio che potesse stuzzicare le fantasie di chi organizza. Allo stesso modo era normale pensare di “tagliare” quelle situazioni dall’assembramento facile. Tutto fatto nella logica del non mollare ancora prima di metà anno e non fermare un intero movimento internazionale di uno sport.
Compromessi straordinari che dovrebbero rimanere tali e che permettano di digerire in qualche modo di vedere un mondiale assegnato dopo qualche giro di pista.
Se non fosse che si è iniziato a parlare di “esperienza buona per il futuro”, di “format da esplorare e che piace” e di possibile modo di fare rally negli anni a venire. E allora non sono più compromessi ma attentati alla natura di uno sport che nel futuro avrebbe tanto bisogno di ripartire dalla sua natura per non perdere ulteriormente fascino tra gli appassionati ed appeal verso gli sponsor.
Gare poco interessanti e pubblico ai margini
Ok, le gare sono riprese ma come? Tolta la Sardegna che è gara complessa e ricca di imprevisti per sua stessa natura, per il resto abbiamo assistito a gare poco interessanti e povere di spunti nel mondiale e ad autentici sprint nelle gare di casa nostra. Situazioni figlie degli adeguamenti regolamentari, dell’impossibilità di attuare strategie basate su gare future a rischio cancellazione.
Certo, non sono mancati i passaggi, non sono mancati sound e belle immagini ma è mancata tutta quella parte tattico/strategica che spesso rende avvincenti e discusse le gare.
E poi è mancata la gente. Nessuno poteva farci poi molto (non è vero, mediaticamente si poteva e si doveva fare molto di più per gli appassionati a casa) ma le gare corse hanno dimostrato in modo inequivocabile quanto sia essenziale il pubblico a bordo strada. E non è solo colore, è contributo reale alla diffusione dell’anima di questo sport.
Provate a cercare video interessanti su Youtube delle ultime tappe del CIR e provate a fare un paragone con la stessa gara del 2019. Potrete pesare voi stessi il peso della mancanza del pubblico e, forse, trovare una ragione d’essere che va aldilà del tifo e del supporto agli equipaggi. Una dimensione reale, che esiste ma che nessuno è mai stato in grado di riconoscere e valorizzare a dovere.
Ostinata insistenza per l’interesse privato (di pochi) e non per il movimento intero
Federazione, promoter, case costruttrici, noleggiatori, piloti, navigatori, fotografi e tutti gli addetti ai lavori sono riusciti a limitare i danni e, visto come si erano messe le cose a marzo, non si può che essere contenti. Tanti posti di lavoro sono stati preservati, tante gare sono riuscite a salvare sponsor ed investimenti e gran parte degli impegni presi sono stati rispettati (o si è comunque fatto in modo di arrivare a cancellazioni meno dolorose possibile). L’Italia è riuscita a concludere due eventi internazionali ed è ad un passo da organizzare il terzo e non si può che essere contenti.
Al tempo stesso, però, è inevitabile pensare all’occasione globalmente persa di cercare di attuare una riforma dei rally seria, figlia del desiderio di dare un futuro a questo sport e non ad arginare una contingenza.
In un contesto complesso e privo di orizzonti temporali certi era logico aspettarsi che si provasse a creare una visione d’insieme che portasse a ridiscutere alcuni elementi che oggi rendono i rally sempre meno interessanti agli occhi degli investitori. Parlo di regolamenti sempre più articolati e complessi, di suddivisioni in categorie e sottocategorie, di campionati e sotto campionati, di media e nuove tecnologie utilizzate con intelligenza e di pubblico finalmente come parte integrante di questo sport e non solo spettatore non pagante.
Siamo quindi ad un passo dalla fine della stagione e mai come quest’anno ne desidero la fine e non sento il bisogno di vederne un nuovo inizio. Non a queste strascicate condizioni che oggi potranno anche sembrare soluzioni ma che non potranno mai essere chiamate futuro.
1 Commento
Ivo
Condivido proprio tutti punti ma manca la cosa più importante senza la quale il discorso vale zero.
Non serve discutere su cosa non va in casa perché ci impediscono di uscire, i rally non avranno futuro come nient’altro lo avrà se non si alza la testa e si rimuove la piaga che ci dilania. É il momento di uscire dalla parrocchia perché c’é bisogno di noi là fuori.