Passo Manghen, la strada nella roccia – Luoghi di rally
Andiamo a rivivere uno dei tanti luoghi che hanno scritto la storia dei rally
Un nuovo racconto va ad arricchire la rubrica che raccoglie i luoghi più famosi che i rally hanno percorso nella Penisola.
Non scopriamo di certo noi il fascino dell’Italia e dei suoi panorami. Quello che vogliamo da questa nuova rubrica “Luoghi di Rally” è farvi scoprire (o riscoprire) luoghi all’apparenza non troppo famosi ma che per i rally hanno un significato importante. Posti, vicoli, curve e passaggi in cui si sono scritte pagine importanti e in cui ancora oggi (talvolta) si corre e dove ogni giorno si continua a respirare rallismo, storia e passione.
La rubrica torna a Nordest per un altro sacrario, un altro monumento dei rallies italiani: il Passo Manghen. Un altra strada di montagna, un altra opera bellica della Grande Guerra, un altro mito del rallismo eroico che fu nei primi anni Settanta.
Manghen: la storia
Situato tra la Val di Fiemme e la Valsugana, tocca un picco di 2047 metri, dopo i più di 16 chilometri di ascesa da Molina. Wikipedia cita le mitiche tappe del Giro d’Italia passate su questa lingua di asfalto:
Il passo Manghen è uno dei più celebri passi dolomitici percorsi nel Giro d’Italia, particolarmente duro per la sua lunghezza. […]
Il versante di Molina di Fiemme è più breve, 16,4 chilometri al 7,5% medio, ma ancora il tratto finale è il più duro, con ancora il 9,5% medio per gli ultimi 8 chilometri.
Il versante meridionale del passo Manghen, così come tutta la zona della Val Calamento, appartiene al comune di Telve. Mentre quello settentrionale al comune di Castello-Molina di Fiemme.
Le montagne che circondando il passo hanno visto la presenza dell’uomo fin dalla preistoria, come dimostrano le tracce ritrovate nei pressi del Lago delle Buse. Sentieri prima, ulattiere poi ed infine strada sterrata: è la Prima Guerra Mondiale ad imporre la cosruzione di una carrareccia. Sono gli Austro-Ungarici, però a difenderla strenuamente, essendo uno dei capisaldi della loro linea in Italia.
Manghen nei rally: Sabbatini benedice il “rallye”
Siamo negli anni Sessanta: come la prova di Valstagna, del Grappa, del Monte Tomba, anche il passo dolomitico entra nell’orbita dell’avvocato Luigi Stochino; il veneziano vuole creare un rally nella cornice delle montagne trentine: nasce il San Martino di Castrozza, uno tra i più duri del panorama italiano ed europeo. La PS (all’epoca ancora sterrata) attira folle di giovani che nei primi anni Settanta scoprono ciò che i loro padri avevano vissuto con le maratone stradali come Mille Miglia, Targa Florio, Circuito del Mugello.
Tra i sacchi a pelo e le torce sale anche un redattore di uno rivista che diventerà il punto di riferimento del Motorsport italiano: Marcello Sabbatini porta idealmente i suoi lettori di Autosprint tra i pini del Primiero nel pezzo che scrive dopo l’edizione 1971. Ecco le sue parole:
Il sottoscritto, noto finora come un “nemico” (ndr, dei rally), è qui per darne atto convinto. Perchè ho potuto vivere uno dei momenti più esaltanti, più affascinanti di questa manifestazione di romanticismo sportivo che è davvero un rallye. L’ho vissuto dal vero. Salendo alle undici di notte, una stellatissima notte, per rimanerci fino alle quattro del mattino, lassù ai 2047 metri del selvaggio passo Manghen dove, su una rotaia di fango, su una strada di capre guastata vieppiù dalla scalatadella notte prima, con devastanti raffiche di pioggia, Sandro Munari ha tirato fuori i numeri decisivi per ribadire la sua voglia di battere quella sfortuna, che cerca fin troppo spesso di guastargli le sue prodezze. […] Una notte verità non solo per il vincitore, ma anche per chi voleva convincersi della straordinaria vitalità di questa disciplina automobilistica, che sa radunare, nelle ore profonde della notte, centinaia di ragazzi, che si muovono come lucciole con le loro pile, tenute pronte per lampeggiare al momento giusto i fianchi delle vetture e nell’abitacolo per riconoscere i protagonisti, che incitano da pochi passi come pedalatori i arrampicata. […] Questa passione di spettatore è l’altra componente di quella carica di romanticismo dei rallyes.
Parola di pilota
La voce dall’interno dell’abitacolo è essenziale per capire come appaia la lingua d’asfalto della valle trentina a chi il casco lo indossa.
Paolo Porro, comasco abitueè del CIWRC intervistato da Alessio Zunino, di PS catramate ne ha viste: dalle ‘piccole’ di casa Fiat alle WRC di M-Sport, il range di vetture che ha portato in gara, anche nel Manghen, è di tutto rispetto. E se ha dedicato una t-shirt con scritta la prima pagina di note, vuol dire che il feeling è di quelli speciali:
Ho avuto il piacere di effettuare questa prova speciale in due versioni. La prima volta fui protagonista nel 2003 a bordo della piccola Fiat 600 Kit Car, dove si partiva in prossimità di una curva destra limitrofa al ponte e si saliva su un strada molto stretta con tornanti tecnici. Si giungeva quindi al famoso rifugio del Passo Manghen e si scollinava per mezzo di una discesa a dir poco stupenda. Lì la prova speciale diventa molto veloce e guidata e con un asfalto liscio che ti permette di sfruttare tutto il potenziale dell’auto. Il rischio è di causare un surriscaldamento dei freni verso l’ultimo chilometro, con il pedale del freno che affonda particolarmente, ma vi posso garantire che è una goduria assoluta. Dal 2017 gi organizzatori hanno poi modificato la prova speciale con l’aggiunta di una parte nel tratto iniziale, portando la stage da 13 a 21 km circa. Si tratta di una porzione molto veloce, dove la traiettoria diventa essenziale. Nessun approcio di guida particolare ma essendo una strada molto tecnica, se si vuole fare il tempo bisogna stare concentrati e avere alcuni accorgimenti. Sul tratto iniziale vi sono tre chikane per abbassare la media di velocità ed è importante far correre la macchina usando marce alte, con le WRC in particolare la quinta e la sesta. La discesa invece va affrontata con intelligenza per non rimanere del tutto senza freni e non perdere la linea e tempo prezioso per ritrovarla. Focus o Fiesta? Sono due auto diverse. La Focus è una gran bella macchina ma la Fiesta sul Manghen le è superiore perchè l’assetto e le sospensioni delle 1600 cc rendono l’auto più agile, permettendo un cambio di direzione più rapido. Inoltre il passo è più breve, quindi si sfrutta tutta la motricità. In conclusione, penso che si tratti di una prova speciale stupenda, che permette al pilota di divertirsi con qualunque macchina la si affronti.
Parola di ‘naviga’
La testimonianza di come fosse affrontare quella prova nei primi anni pioneristici ci arriva dal padovano Gian Antonio ‘Gianti’ Simoni, all’epoca navigatore di Arnaldo Cavallari, il polesano che tenne a battesimo uno dei più famosi piloti italiani degli anni Settanta: Sandro Munari. Trasudano altri tempi mentre riaffiorano i ricordi del Passo:
La strada, molto, molto stretta, per raggiungere il passo ad una decina di chilometri da Calamento, poco sopra Telve Valsugana, era tutta in terra battuta (ndr: oggi asfaltata), una terra rossa in qualche punto fine, quasi sabbiosa, e, salvo i primissimi chilometri, senza alcuna protezione verso il profondo precipizio a lato. Analogamente, altrettanti chilometri per scendere a Molina di Fiemme, verso Cavalese; in questo caso con un fondo stradale spesso acciottolato, quasi come il greto di un torrente, perché attraversato da una miriade di rigagnoli perennemente bagnati, se non inondati.
Lo percorsi per la prima volta nel 1971, con Arnaldo Cavallari, di cui in quell’anno ero coéquipier, durante le ricognizioni del Rally di San Martino, rally che ci poi vide protagonisti di un’avventura, ormai arcinota – quella dell’”acceleratore umano” lungo la Prova Speciale di Valstagna.
Durante le ricognizioni e le prove prevalentemente nottetempo, Arnaldo spesso mi cedeva la guida, soprattutto al rientro in albergo dove si alloggiava nel periodo del rally. Con la scusa di volersi riposare dalle fatiche delle prove, il ‘Vecio’ si sedeva alla mia destra sulla Lancia Fulvia HF 1.300 – il nostro “muletto” in quel periodo – e mi pungolava per affrettarsi nel rientro in albergo. Non ero mai passato in quella zona, di giorno, in auto, e non mi rendevo conto del precipizio che scendeva per centinaia di metri da un lato della strada assai tortuosa. Dall’altra la ripida montagna.
Durante la discesa cercavo, ovviamente, di mettere in mostra le mie qualità di pilota. Arnaldo si fidava: mi faceva guidare spesso anche in gara e soprattutto nei C.O. “tirati”. L’andatura era quindi sostenuta: “Marce lunghe e nô tocar i freni” diceva. I tornanti andavano affrontati scalando però le marce: era un continuo terza-seconda, in qualche caso seconda-prima, e via di ‘sinistro’ sul pedale del freno per fare in modo che la vettura sbandasse, in modo controllato, senza dover mai usare il freno a mano, per accentuare la sbandata e mantenere una velocità elevata. Al momento dell’ultima scalata prima del tornante, Arnaldo allargava la gamba sinistra che andava così a coprire la leva del cambio impedendomi di innestare la marcia inferiore: ero costretto così ad effettuare l’inversione al tornante, praticamente in folle. Da incubo. E lui, ridendo, sarcastico: ”Dài bôcia, a l’è cussì che t’impàri a guidare!”.
In un’altra edizione con il pilota Tacchini, ecco che lungo i tornanti era assiepata una quantità enorme di persone imbacuccate nelle giacche a vento: coriandoli multicolori visti dall’interno della vettura. Spuntavano però, in mezzo a loro, chiome bionde di particolare ‘interesse’ per il dopo gara. E non si sa come, in macchina si materializzarono improvvisamente una miriade di bigliettini, scritti a mano, su cui era riportato: “Alloggiamo all’Hotel …”, che lanciavamo fuori dal finestrino, nei tornanti, quando la velocità era più bassa.
Ora il quarto ‘anta’ l’abbiamo già ampiamente superato, ma: Manghen, in mona il Coronavirus, che st’istà rivémo!(ndr: Manghen, al diavolo il Coronavirus, quest’estate arriviamo!)
Quando il Manghen ‘svezzò’ la Toyota WRC
Dopo aver fatto parte dell’Europeo nel 1977, calò il sipario sulle vette che contornano le Pale di S.Martino: i rally tornarono a rombare nuovamente solo nel 1995 ma mai arrivando a palcoscenici extra-nazionali.
Il rallysmo internazionale, però, non aveva dimenticato la PS come banco di prova di mezzi. Fu così che un finlandese ed un francese si trovassero nel 2015 a svezzare una vettura di uno dei colossi mondiali di questo sport nell’epoca moderna.
Teemu Suninen ed Eric Camilli si alternarono al volante della Toyota Yaris WRC, il primo prototipo prima della versione Plus: un test segreto, che solo il tam-tam di radio rally riuscì a scoprire in tempo. Ed il passo tornò ad essere protagonista, tornò al centro della scena mondiale.
Ma ora, dopo le parole, lasciamo cantare i motori. L’equipaggio Porro – Brusadelli ci regalano un camera car sulla Ford Focus Wrc by Gp Racing: cosa aspettate? Allacciatevi il casco e stringetevi bene le cinture!