Il metodo estone
Tanak e Jarveoja hanno avuto nei propri sostenitori i primi finanziatori verso il titolo WRC
Alla fine ha vinto lui, e adesso non è più Ott “The Ditch”, adesso è Ott Tänak, il campione del mondo!
Ho atteso qualche giorno prima di buttare giù questo pezzo, perché volevo riorganizzare i pensieri e non mi dispiaceva lasciare a tutti gli altri l’onore e l’onere di sviscerare ogni centimetro di questa, meritata, vittoria. Anche perché in redazione lo sanno anche i fermacarte che sono un sostenitore di Ott, lo seguo da molti anni e sono super felice della sua vittoria e per questo adesso non mi interessa tesserne le lodi.
Volevo andare un po’ oltre la vittoria in sé per sé, oltre la carriera del forte estone, che ormai tutti conoscono, per guardare a quello che questa significa per il movimento rallystico e per provare a capire se il “metodo estone” è applicabile anche qui da noi.
Ma quale è il metodo estone? In Estonia non ci sono case automobilistiche, non ci sono grandi campionati o scuole di pilotaggio e in generale la tradizione rallystica non si può certo definire centenaria, visto che la piccola repubblica baltica ha conquistato la sua indipendenza dall’occupazione sovietica solo nel 1991 (e vi assicuro che sotto l’URSS di auto da corsa in giro ce ne erano ben poche!).
Inoltre non ci sono enormi aiuti dalla federazione (che tuttavia è molto attiva) ne munifici sponsor e, ultimo ma non ultimo, in totale gli estoni sono poco più di un milione (meno della popolazione della sola Milano… per capirci).
Considerate anche che Ott non viene da una famiglia ricca e avrete un bel rebus da risolvere.
Voglio dire, senza offendere o sminuire nessuno, che è più facile trovare un volante se sei un Takamoto Katsuta, con Toyota alle spalle, piuttosto che un piccolo estone introverso.
E’ più facile trovare un volante se tuo padre era un pilota ufficiale del WRC, piuttosto che un meccanico su un’isoletta.
Eppure ce l’ha fatta. Ce l’ha fatta perché era il suo sogno da sempre e questo mi ricorda un celebre aforisma di Nelson Mandela: “Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso”.
Ma questo da solo ovviamente non basta, non basta la determinazione personale nel nostro sport! Ci vogliono anche un sacco di capitali perché il motorsport non è certo uno sport economico e, ad ogni salto di categoria, diventa sempre più affamato di risorse.
Ecco allora dove arriva la grande differenza tra sostenitori estoni e italici: noi borbottiamo che Nucita meriterebbe un volante nel CIR, che Rox dovrebbe essere nel mondiale e che Andolfi ha rotto un cerchio perché non ha i cerchi delle Fabia ufficiali e che la federazione dovrebbe fare questo e quello e che è colpa del gruppo Fiat che non rientra nelle corse e che anche il Vaticano, tutto sommato, potrebbe schierare un auto nel WRC2 per Basso con i soldi dell’8×1000.
Insomma siamo bravissimi, come sempre, a scaricare ogni responsabilità sugli altri.
In Estonia, al contrario, Ott Tänak ha avuto sempre il sostegno di molte persone che si sono unite, ognuno nell’ambito delle proprie possibilità, per sostenere attivamente la carriera del loro pupillo. Quando parlo di sostenere attivamente intendo metterci soldi, tempo e conoscenze.
Alla stessa maniera ogni estone, dai 2 anni in su, possiede del merchandising ufficiale di Ott (disponibile su https://ottTänak.com) e parte dei proventi di questi acquisti andava a sponsorizzare il loro forte pilota di punta.
In sostanza una rete di sostenitori che parte da veri e propri finanziatori, “backers” in inglese, e arriva fino ai tifosi che danno un loro contributo, anche minimo, alla causa comune.
In questo modo, una piccola nazione con un PIL di 26 miliardi di dollari, ha un campione del mondo, mentre l’Italia che ha un PIL di 2.000 miliardi discute su quello che dovrebbero fare… gli altri!
Ma non solo, noi sappiamo anche fare di peggio: quando troviamo un imprenditore che ha voglia di metterci soldi (suoi), gli diamo anche contro (vedere alla voce Armando Donazzan).
Con questa mentalità, credetemi, si va poco lontano. Allora perché non provare a copiare dai più bravi? In fondo non c’è bisogno di inventare niente, solo di avere spirito costruttivo e sostenere i nostri beniamini in maniera attiva.
Per cui, la prossima volta che il nostro pilota preferito è in difficoltà nel mettere insieme un programma ambizioso, proviamo a utilizzare il metodo estone e un giorno potremo dire che quella vittoria è davvero anche un po’ nostra!
1 Commento
Alessio
Buongiorno Redazione,
Buongiorno lettrici e lettori,
da professionista del marketing e dello sponsoring sportivo, attivo in altri sport c.d. minori, ma molto appassionato del tema rally mi permetto di fare alcune osservazioni.
Per quel poco che ho visto e vissuto nel motorsport ed in particolare i rally, anche ad alti livelli, c’è pressapochismo e scarso professionismo. Non certo sotto il profilo tecnico, non ho elementi per giudicare, ma sotto il profilo della gestione manageriale del sistema.
Troppi venditori di fumo e nessuno degli attori principali e’ in grado di accettare il benché minimo necessario intervento di professionisti 4.0 del tema, affidandosi a vecchi ed impreparati trafficoni che ripropongono facili ma pericolose soluzioni, metodi e modelli di approccio tanto obsoleti quanto inefficaci. Mi spiego con un paragone: tutti spremono gli stessi limoni, nello stesso cestino aspettando che ne entrino miracolosamente di nuovi; questo avviene lagnandosi “che non ci sono più i soldi di un tempo” senza guardare che al di fuori del cestino, magari sulle piante (nel mercato economico) c’è ne di grandi e maturi. Sicuramente per raccoglierli serve (analizzare e ingegnarsi) dotarsi di una scala (investire) e magari fare la fatica di alzare lo sguardo (cambiare mentalità).
Tutti, piloti, team, noleggiatori ed organizzatori sono orientati solo al “prodotto sportivo” (stringere bulloni e cercare la macchina top ultimo aggiornamento, magari neppure essendo un pilota da top ten) senza poi avere i danari o senza essere in possesso di competenze e strumenti oggi assolutamente necessari alla vendita del prodotto sportivo “rally”.
Se, come giusta intuizione, si volesse copiare i più bravi o i modelli di sport business vincenti, scoprireste che questi modelli sono nati da riflessioni, analisi, creati e gestiti da agenzie, manager dello sport business, ma che spesso non provengono dal motorsport (la mancanza di tradizione rallistica estone lo prova).
Lo sport e’ una cosa seria, anche se in Italia e nel motorsport tricolore non fa breccia questo concetto. E’ un business come un altro, e come tale va trattato, risponde alle dinamiche del mercato ed alla scienza e della psicologia commerciale e imprenditoriale. Secondo questi principi va quindi prima analizzato, studiato, poi strutturato e dotato di strategie, piani e strumenti per poter essere presentato e veicolato agli investitori.
A tal riguardo mi permetto di far notare che il caso di Tanak, ha alle spalle un imprenditore, non un “mecenate”, che ha “investito” in un progetto commerciale di sport industry. Il merchandising e tutto l’indotto generato e’ stato creato a tavolino; si e’ raggiunto un obiettivo imprenditoriale attraverso un percorso step by step previsto tempo fa, al di là del risultato meramente sportivo (merito del pilota e di variabili favorevoli), e’ scientificamente studiato.
Il mio invito e’ quello di smettere di lagnarsi, di vivere il passato, servono soluzioni la patologica crisi dei rally e’ un agonia che tutti conoscono.
Serve tanta umiltà, tanto studio e tanto coraggio per cambiare il paradigma di questo sport… buona vita