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Tempo

3 MIN

I profumi, i rumori e il cuore di una volta

Storia di una vecchia Clio Williams ancora capace di rubare la scena

Sono passate poche ore dalla chiusura finale di questo bel rally del Friuli Venezia Giulia, evento tornato a far parte del calendario del CIR e che ha regalato parecchi spunti su cui ragionare.

La Citroen C3 R5 che finalmente ottiene il primo sigillo nel massimo campionato nazionale e un Simone Campedelli che inizia a trovare le misure sulla nuova Fiesta MK2 del binomio M-Sport – Orange1 Racing. Elementi su cui vale la pena fermarsi a ragionare ma che, oggi, sinceramente non mi danno quella grande soddisfazione nel farlo. Perché parliamoci chiaro, sulle strade friulane abbiamo assistito ad un’altra bella storia di uno sport che non smette mai di emozionarci e sorprenderci.

I protagonisti sono nientemeno che Marco Zannier e Marika Marcuzzi, equipaggio dentro e fuori dall’abitacolo di una Clio Williams che proprio non vuole perdere lo smalto che l’ha contraddistinta a partire da metà anni Novanta.

Voglio essere sincero con voi, cari lettori. La loro è stata un’impresa formidabile ma nel suo insieme ci vedo ancora di più. Sono come Zannier padrone di una macchina da corsa e so benissimo quanto questo implichi sforzi, e soprattutto sacrifici enormi, per mantenere in ordine vetture del genere al fine di presentarsi il meglio possibile in campo gara. Un divertimento che a volte porta a rinunciare ad altre cose e che a volte ti fa chiedere il perché lo si fa.

Ma poi una volta allacciato il casco e strette forte le cinture nella testa si dice automaticamente “Fanculo tutto, io qui dentro mi sento il re del mondo e questa passione me la godo fino in fondo, costi quel che costi”.

E allora mi sono immaginato la soddisfazione di questi due ragazzi semplicissimi per aver corso il rally di casa sfidando senza timore i migliori del Belpaese. Mi sono immaginato le settimane di lavoro per rialzare la Willy e renderla perfetta per l’occasione. E mi sono anche immaginato cosa abbiano provato sul quel palco, saliti da quinti assoluti, davanti agli amici di sempre e alla gente che in prova li aspettava trepidamente e che al loro passaggio inebriava i propri polmoni di quel profumo di benzina bruciata che, unita all’odore della frizione, va a comporre una fragranza che solo le vecchie Gruppo A sanno garantire.

E poco importa alla gente se Marco entrava in prova speciale con i guanti che nascondevano le mani unte e sporche per essersi cambiato da solo le pastiglie dell’impianto frenante in parco assistenza. Ci sono i tempi e gli applausi a parlare per lui!

Quindi, vi chiederete voi, quali sono le conclusioni di questo weekend così frizzante e movimentato? Semplice, ma non per tutti banale. I rally sanno ancora regalare sprazzi di quotidianità e di sensazioni legate forzatamente ad un passato a tratti nostalgico, fatto di poche chiacchiere e motorhome così grandi da pagarci quasi l’Imu, ma soprattutto di… tanti, tantissimi fatti.

E allora voglio terminare il mio pensiero serale riprendendo ad hoc una frase di un mio amatissimo film:

Perché Zannier è l’eroe che i rally italiani meritano, ma non quello di cui hanno bisogno adesso. E quindi gli ufficiali gli daranno la caccia. Perché lui può sopportarlo. Perché lui non è un campione. È un pilota silenzioso che corre su una vecchia Williams. Un pilota affamato.

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