Intervista a Maurizio “Stivi” Tiveron, l’uomo delle livree
Come nascono quei colori che tanto ci affascinano? Ce lo racconta un professionista
Con Maurizio ci siamo conosciuti online e c’è stata subito intesa. Giorno dopo giorno, chiacchiera dopo chiacchiera, ci siamo accorti di avere diversi punti in comune oltre alla passione e il coinvolgimento nel grande e magico mondo dei rally. Ne è nata così un’intervista “fiume” nella quale abbiamo cercato di etrare nelle viscere del suo lavoro, così bello ed importante. Già perché nella livrea di un auto non c’è solo il compito di appiccicare qualche sponsor nel posto giusto, una livrea può contribuire a consegnare un’immagine alla storia di uno sport, scolpendola per sempre nella mente (e un po’ nel cuore) di ogni tifoso. Mica robetta da poco. Spazio dunque alla nostra chiacchierata (e ad una miriade di foto da lacrimoni).
Ho iniziato a disegnare macchine in prima elementare. Nel senso che appena ho avuto la mia prima matita in mano, invece di disegnare con i soliti quattro/cinque tratti la classica casina con porta, tetto spiovente e camino fumante come fanno tutti, seguendo le righe del mio primissimo foglio a quadretti io ho tracciato una scatoletta con due parafanghi, due cerchi che dovevano essere le ruote, le portiere (con le maniglie), il volante e una riga inclinata di 45 gradi dentro il finestrino posteriore. La maestra mi chiese “Cos’è?” “Un rollbar!” risposi svelto. E lei mi guardò strano. Il fatto è che qualche domenica prima mio padre portò me e mio fratello in cima al monte Jôuf (la montagna che sta alle spalle di Maniago, il mio paese natale) per fare un giro. Ricordo come fosse ieri la strada dissestata che chiamarla “sterrata” era un complimento.

Tutt’ora è una strada forestale più per 4×4 che per auto normali. Spesso le ruote della Simca facevano fatica ad avanzare ed io ero affascinato dalle manovre di correzione continue di mio papà. Una volta in cima notai quattro tizi appoggiati a due macchine sporchissime ma che già a quell’età sapevo riconoscere: un 112 rosso e un Renault 8 Gordini blu. Ma notai anche dei tubi strani piantati sui sedili dietro. Mio padre conosceva i personaggi vicino alle auto, che capii più tardi come fossero saliti fino in vetta per motivi diversi da una semplice gita come la nostra, e questi mi spiegarono a cosa servivano quei tubi là dietro. Ovviamente giocavo già da tempo con le automobiline, pervaso da una precoce passione per le macchine. Ma solo per quelle a ruote coperte e con i fanali, che potevo anche riconoscere per strada. La Formula 1 o le moto non mi interessavano molto. Avevo 6 anni quasi 7 e quel giorno sul monte Jôuf avvenne il mio sacro battesimo da rally.Qualche settimana dopo, come detto, disegnai la mia prima auto. Ed era un’auto da corsa. Essendo un bambino tranquillissimo, fui l’unico di quattro figli maschi (ero il quarto) ed una sorella più piccola a non essere mai andato all’asilo. Quando ne avevo abbastanza con le macchinine, mia mamma mi piazzava un fumetto in mano ed io partivo per altri fantasiosi viaggi intergalattici, lasciandola tranquilla per interi pomeriggi. Per questo arrivai in prima elementare che sapevo già leggere e un po’ scrivere. Ma solamente in stampatello maiuscolo, lo stesso codice che avevo imparato a riconoscere nei miei lunghi pomeriggi solitari attraverso i discorsi racchiusi nelle nuvolette di Topolino, Paperon dè Paperoni e quello sfigato di Paperino: solo stampatello maiuscolo. Anche con la faccenda del lettering iniziai presto insomma.
Ciao, racconta ai nostri lettori chi è Stivi e cosa fa ogni giorno per il nostro amato sport.
Mi chiamo Maurizio Tiveron e sono un ragazzino di 49 anni. Originario di Treviso (Monigo), sono nato a Maniago nel 1968, lo stesso anno in cui è nata la Provincia di Pordenone. Dietro Maniago come ti ho raccontato c’è il Jôuf e dietro il Jôuf la Pala Barzana. Una volta era tutta di terra e me la ricordo, ma devo frenarmi altrimenti più che una risposta ti scrivo un libro. Il fatto è che la mia passione per le macchine ha trovato terreno fertile fin dall’infanzia. Noi si andava quasi ogni domenica a Treviso a trovare i parenti e ricordo che nei viaggi di ritorno io mi divertivo a indovinare tutte le auto che ci precedevano solo dalla forma dei fanali posteriori. Le indovinavo tutte. Poi, prima del primo Rally Piancavallo (1980) nelle mie zone transitava il Rally delle Valli Pordenonesi.
Dopo il battesimo del rollbar, il secondo particolare da corsa che ricordo di aver immagazzinato nella mia memoria furono due marmitte dal suono fortissimo ma fantastico. Ricordo ancora le sfiammate alla partenza della prova di Poffabro in discesa verso Casasola e Navarons. Ovviamente di notte, o sera tardi (ero pur sempre un bambino, anche se accompagnato) Ricordo quei due tuboni dalla forma stranissima che associai a sue salami e due
fanali che nel mio database io riconoscevo come “Fiat 850”. Però la macchina era parecchio diversa … bassa, ruote grandissime, spigolosa. Bellissima. Mi arresi e chiesi lumi a mio padre “Ma che macchina ela?” Ovviamente era una Stratos. Continuai a disegnare, affinando la tecnica. Dopo quella Stratos cominciai a non seguire più i quadratini del foglio, ma a lasciare andare le matite, i colori, in forme comunque squadrate, tese ma filanti. Come quella Stratos. Per la cronaca, “Stivi” invece è nato qualche anno dopo, in prima superiore. Un mio compagno di classe una mattina iniziò a chiamare tutti con una “S” davanti al cognome. Tutto l’appello, “Sbortolin”, “Sdella Puppa”, “Sdiana” (era lui) via via fino a “Stiveron”. Lì si fermò e mi guardò con un espressione truce “Heilà Stiiiiiiv”. Non so perché lo fece, ma da quel giorno tutti cominciarono a chiamarmi “Stiv”.La “i” finale fu aggiunta armonicamente dopo poche settimane da un altro mio compagno di classe (”Spauletta”) e secoli prima di Internet dei social, “Stivi” divenne il mio nick. Che non abbandonai più. Disegnavo disegnavo disegnavo. Macchine ma anche ad aerografo, di tutto. E tutto firmavo “Stivi”.Intanto la passione per i rally continuava a crescere inesorabile. Mio fratello Tiziano si dilettava con la carta adesiva, ritagliando scritte assurde per la sua (altrettanto assurda) macchina. Il fratello più grande, il primo con la patente. E con la macchina. Un giorno mi chiese una mano perché un tizio gli aveva chiesto se poteva fargli quattro scritte per la sua macchina da rally. Ci chiudemmo in cantina per giorni a disegnare tutte le scritte prima su un foglio, con righelli e curvilinee (di nuovo, gli albori del lettering) inventando anche improbabili, inediti font. Poi, ricalcato il tutto al contrario sul retro di carta adesiva durissima comprata a rotoli in cartoleria, iniziammo a tagliare lettera per lettera il tutto. Infine, la spedizione in officina per l’applicazione, sempre a mano e lettera per lettera.
La macchina era un 112 Abarth Trofeo, il tizio era Sandro Muin. Che poi scoprì essere uno dei personaggi che incontrammo quella famosa domenica sul Jôuf di qualche anno prima, quello col 112 e quei tubi strani dietro. E così avvenne anche il battesimo da “livreatore”. Era il 1982 e ormai avevo quasi 14 anni. Disegnare disegnare disegnare. Intanto continuavo a disegnare auto, affinando sempre più tecniche ruspanti e totalmente autodidatte. Ma il richiamo delle macchine vere era sempre più forte. Cominciarono ad arrivare altre “livree” da inventare e realizzare, oltre alle semplici scritte. Oltre alla carta adesiva, anche un cofano aerografato per una Panda 4×4 con la quale il pordenonese Ulisse Scarpis tentò l’avventura della Parigi/Dakar 1985. Credo arrivò fin dopo lo sbarco di Tangeri e fece pochissima strada, ma per me fu qualcosa di importante. E poi la patente, l’anno di naja e il battesimo come copilota, nel 1989. Ormai ero “dentro”. Ovviamente curavo le livree delle vetture dei miei piloti.
Poi cominciai a curare anche quelle di altri, sempre di più. Poi arrivarono i primi rudimentali plotter, i primi computer, il Corel, che utilizzo fin dalla release 1.0. Sembrava tutto più facile e in effetti lo era rispetto a carta carbone e forbicine, ma tanto ancora doveva essere inventato. Un giorno, per un Piancavallo un nostro sponsor volle la sua scritta e una immagine di … un vaso di ciclamini. Era un fiorista e voleva promuovere la vendita dei suoi ciclamini. Aerografare? Ritagliare una sagoma del vaso e dei fiori? Una serigrafia per un singolo adesivo costava troppo, i plotter da stampa erano ancora fantascienza ma per fortuna qualche cartoleria disponeva delle prima stampanti a colori per computer. Detto fatto, stampai quei ciclamini su un volgarissimo A4 di carta, che assicurai al cofano con abbondante carta adesiva trasparente. Stampa e laminazione rudimentale che resistette a tutta la tappa di terra (e fango) di quel Pianca. C’era tanto da inventare ogni volta e dopo qualche anno, a Gennaio 1997 inventai la mia “StiviGraf”. Uno studiolo, un computer e un plotter comprati con la liquidazione dal mio ultimo lavoro da dipendente. Allora tutto costava tantissimo.
StiviGraf, la mia prima avventura imprenditoriale nacque come “studio grafico polivalente”. Ma già alla fine del primo anno la mia attività era totalmente assorbita da livree per auto da rally e decorazioni ad aerografo su caschi, moto, camion eccetera. Tutto cominciava a diventare veloce, ma non cambiarono le abitudini. Se una volta ci volevano un giorno e una notte in bianco per disegnare e tagliare a mano le scritte per una singola auto da corsa, i giorni e le notti in bianco si moltiplicarono, così come però le auto realizzate. Ricordo un Rallysprint Sagittario, unica mia esperienza (brevissima) da pilota in cui oltre ad essere iscritto avevo anche curato un totale di diciassette vetture …
Sono stati anni fantastici di chilometri e chilometri di vinile e di autostrada in giro per il nord e centro Italia. Lavoravo tutto il giorno, la notte. Poi doccia all’alba e via a Milano da Nocentini o a Rimini per quelli della Rubicone. Clienti importanti, il mio compaesano Paolo Alzetta, Luca Baldini, Andrea Maselli, ma ancora prima qualcosa per le 500 e le Uno trofeo di Gigi Sartori, qualcosina per Clay Fior della Castelfranco (anche se là avevano già plotter e tutto) Poi arrivarono i Manfrinato brothers, il compianto Pucci Grossi, Daniele Valentini, un passaparola inarrestabile.
Ho sempre curato la pubblicità dei miei amici/clienti e credo di non aver mai investito un euro (o lira, quando ancora c’era la lira) nella mia, a parte qualcosa di canonico a Natale o con l’avvento di Internet, con i primi sitini via ISDN. Qualcosa che cominciava a straripare dalle semplici livree per abbracciare (con alcuni clienti) anche tutto il resto che oggi chiamiamo “immagine”.
Per seguire al meglio il mio principale cliente di allora, a Luglio 2000 presi armi bagagli e la mia StiviGraf e mi trasferii a Castelfidardo, nelle Marche. Svolta epocale che coincise con un mio progressivo allontanamento professionale dai rally verso la velocità. Prima in salita e poi in pista. Ma feci ancora in tempo a disegnare ad esempio la Focus ERG-Euromotor con cui Andreucci conquistò nel 2001 il suo primo scudetto CIR tricolore. Passaparola. I collaboratori Udinesi di De Cecco e Fidanza erano gli stessi che mi affittarono quella Uno gruppo A del mio sfortunato Sagittario, qualche anno prima. Contatti da curare e tenere vivi. E così nacque quella Focus semplicissima, primissimo lavoro “a distanza”, solo progetto senza realizzazione finale. Poi gli anni in salita, non solo intesa come specialità a motore …
Tutto, ma proprio tutto per Isolani, dalla prima 355 del 2000 fino all’ultima 575 del 2011, passando per le varie 360 Challenge, NGT, le 430. Ma oltre alle macchine, il sito, il vestiario, i comunicati stampa, tutto, tutto. La deviazione in pista con Malucelli, il suo primo sito e le 360 dei suoi clienti, così come la livrea del 360 Challenge del debutto e della prima vittoria importante di suo figlio Matteo. Ma anche tutte quelle numerosissime per i suoi clienti, “Linoss”, Zonzini, Mantovani, Baso, Perazzini. Poi seguire Perazzini nell’avventura GT, le due Viper dei due titoli di Campione Italiano 2003 e 2004, la meno fortunata ma stupenda MC12 del 2005, le sue prime 430 GT2, qualche anno dopo.
E i rally? Sempre più lontani. E Stivi? Sempre più disperso. Dopo Castelfidardo, chiusa la StiviGraf, continuai con molte collaborazioni e molti traslochi. Macerata, Forlì, Bologna. Sei mesi fisso in Rubicone e sei mesi davvero intensi di altri chilometri, di strada e di vinile adesivo. La Subaru di Andrea Navarra e Simona Fedeli, quarti assoluti al primo Sardegna WRC, nel 2004.
La Focus Errepi Racing e la prima Xsara di Felice Re, usata e martoriata anche da Kris Meeke al Memorial Bettega 2008. Poi il ritorno a Castelfidardo e fisso nel mondo delle salite Italiane ed Europee. Qualche anno positivo fino al 2010 e due anni rovinosi con truffa finale (ancora irrisolta) da parte del team per cui ho lavorato, che a Dicembre 2012 mi ha lasciato letteralmente a terra e senza più un euro. Letteralmente. A Gennaio 2013 sono risalito a Nord.
Altra svolta epocale, a 45 anni. Il viaggio è stato avventuroso, ma non faticoso quanto l’altra “risalita”, la più importante, che non ho ancora terminato. Ma avevo ancora il mio plotter di allora e tanta voglia di fare.
Al Motor Expo di Brescia, in quello stesso mese, subito la reunion con gli amici di un tempo. E con i mai dimenticati rally. Quei contatti e quei passaparola che non si erano inariditi. E piano piano ho ricominciato, ho potuto riprovarci, passo dopo passo.Poche realizzazioni complete, molti progetti a distanza. Proprio come quel Focus ERG premonitore del 2001. Per ricominciare, la Subaru “Go&Fun” per WAR Racing, subito vincitrice a fine stagione del Trofeo Rally Terra con Gigi Ricci. Buon segno, dai. Poi passaparola, per lo stesso Gigi la sua Fiesta Yokohama per il 2014. Da lui poi, passaparola ancora fino a Pezzaioli di Yokohama Italia, con il progetto del 208 R5 per Trentin, poi passato subito al giovane e veloce Marchioro. E così via. Nel frattempo il contatto con gli amici di Piné Motori e via per due Sardegna WRC, due Rallylegend e altri rally del Triveneto come coadiutore Ufficiali di Gara. Sempre più aria di rally, di nuovo.
E quindi la voglia di riprovarci, anche con le note. E quindi via, quasi per scherzo, con la prima edizione di Rally Italia Talent. 2014, esattamente dieci anni dopo il mio ultimo C.O. in casco e tuta. E quasi per scherzo ritrovarsi poi in finalissima Copiloti Giovani Anziani. Eravamo in 5, ma ho scherzato troppo e non ce l’ho fatta. Ce la farò, forse, ma per il momento prima ancora viene necessariamente il lavoro. E quindi, altri passaparola e l’inizio della collaborazione con ACI Team Italia, via Bortoletto. Il 208 R2, il bilico, l’Abarth 124 e la Hyundai i20. E a ruota le varie Giulietta TCR per Romeo Ferraris. Passaparola. Come la Pajero e la Land Cruiser per le Dakar 2015, 2016, 2017 e la prossima 2018 (più il truck quest’anno) per Stefano Marrini, amico di Ricci, amico di WAR Racing. Quasi tutto nato, disegnato in Val di Fiemme (dove grazie alla mia donna sono potuto rinascere dal 2013 al 2016) e realizzato da altri. Ma il mio destino di zingaro da corsa non si è mica fermato.
Da quando nel 2000 abbandonai la mia Maniago per stabilirmi nelle Marche, per motivi di lavoro e collaborazioni varie in seguito ho continuato a cambiare casa e città in media ogni quattro anni. La media è continuata nel 2016, quando assieme alla mia donna abbiamo deciso di cambiare totalmente coordinate, questa volta assieme, arrivando a fine Settembre qui a Fuerteventura. Altra svolta epocale.
Oltre alla gestione assieme a Silvietta (diamo un nome alla santa donna che mi ha raccolto e aiutato a rinascere) della nostra casa rural a due appartamenti, in uno viviamo noi l’altro lo affittiamo, il mio lavoro oggi continua nel motor sport, a distanza. Sto stringendo contatti e conoscenze anche qui sull’isola, dove la passione per i motori è fortissima e genuina, ma al momento continuo a lavorare ancora molto con l’Italia. Sforno livree, brochure, redazionali, pagine pubblicitarie, video. Gestisco qualche canale social di clienti/piloti, scrivo cose e sono tornato saltuariamente a disegnare. Ovviamente auto e ovviamente da rally. Un cerchio che non si chiude, ma che continua con la carota fissa del tornare a navigare in gara, un giorno. Ma per ora c’è ancora molto da lavorare. Tanto siamo giovani …
La livrea è l’immagine per la quale una macchina viene ricordata. Come nasce una livrea e quanto tempo richiede? Quanto incide lo sponsor sul risultato finale?
La prima cosa che chiedo al cliente ovviamente è la lista sponsor, accompagnata da uno specchio di massima con le percentuali di importanza/rilevanza rispetto all’intero budget oppure rispetto alla visibilità che il cliente vuole dare a ciascuno (che non sempre coincide con il vero apporto finanziario e/o tecnico all’operazione) Poi bisogna stabilire se il progetto è limitato alla sola livrea o se include anche altri supporti, a cominciare dal vestiario per continuare con i mezzi, le strutture paddock tecniche e promozionali eccetera. Operazione preliminare anche capire se il programma, se la campagna prevede anche altri supporti accessori, come canali web/social, ADV eccetera, per provare a coordinare al meglio e nella maniera più completa possibile l’investimento finanziario, di immagine e ovviamente il mio lavoro.
Quando abbiamo tutto sul tavolo, possiamo iniziare. Ognuno ha il suo metodo. Io la prima cosa che faccio è uno studio il più accurato possibile del mood già in essere operato dai vari sponsor. Vale a dire, se non ho direttive di marketing dettagliate e precise comincio a studiarmi l’immagine già messa in opera dalle varie aziende coinvolte, scandagliando tutti i rispettivi siti Internet, campagne pubblicitarie precedenti, eccetera al fine di garantire il più possibile il mantenimento dei vari brand image già esistenti e più o meno consolidati. Se invece mi viene chiesto di lavorare con nuovi marchi inediti, dove tutto è ancora da scrivere, la sfida è più stimolante anche se più impegnativa. In questo modo, mentre eseguo queste ricerche inizia anche il lavoro creativo.
Nella mia testa comincia a prendere forma e colore quello che sarà il risultato finale. Premessa tutta questa preparazione, il disegno vero e proprio di una mia livrea nasce dallo studio del logo principale, del main sponsor, forme e colori. Sono questi elementi che determineranno il grosso del lavoro e che caratterizzeranno il progetto finale. Molte mie livree sono nate e nascono semplicemente da manipolazioni di loghi e logotipi, tirati, spalmati ed adattati ai supporti su cui di volta in volta sono chiamato a intervenire. A volte cerco di armonizzare loghi e colori alle linee della vettura e del mezzo, altre volte cerco contrasti e linee di rottura per dare più dinamismo e sportività all’insieme. È una ricetta in fondo molto semplice, ma non bisogna mai perdere di vista il carattere diverso da brand a brand così come bisogna sempre cercare di proporre ovviamente qualcosa di nuovo ed inedito. Sono molti gli elementi critici in questa fase e non sempre è più facile, come potrebbe sembrare, creare qualcosa di accattivante con un solo main sponsor unico piuttosto che riuscire ad armonizzare, coordinare e spalmare su una sola vettura liste infinite di sponsor e sponsorini. Come accade ad esempio per un programma finanziariamente impegnativo come una Dakar o come mi è successo in passato con i nostri rally da superprivatissimi. Il mio record personale finora è stato quello della Dakar 2017 con, se ricordo bene, quasi una settantina di loghi diversi da distribuire sulla vettura. Ma era pur sempre un Land Cruiser, molto grande.
Ricordo invece una edizione del Sagittario del secolo scorso, disputato come copilota, dove abbiamo dovuto sistemare qualcosa come 56 sponsor diversi sulla nostra piccola 205 Rallye … Ad ogni modo, il tempo per lo studio preliminare non è quantificabile con precisione. Una mia prima bozza invece generalmente è pronta in una giornata piena di lavoro, a prescindere dal metodo utilizzato. Per anni ho impiegato viste tecniche per presentare i miei progetti. All’inizio realizzavo queste viste a mano, con un disegno al tratto (preziosi i miei studi da geometra) fotocopiato e poi decorato, sempre a mano. Poi con l’avvento dei primi computer sono passato alle viste vettoriali realizzate in Corel Draw. Lati, anteriore, posteriore, pianta. Il disegno base l’ho sempre realizzato io da zero, con un gran lavoro a monte del vero e proprio progetto per la livrea. Nel tempo mi sono creato un archivio di viste di varie vetture dove poter disegnare le mie livree. Prospetti tecnici base, ma curati fin nei minimi dettagli diversi nelle varie versioni, gr.A, gr.N, poi R5, WRC eccetera.
La cura maniacale del dettaglio porta poi a bozze molto accattivanti, ma è anche un aiuto pratico per me, per evitare posizionamenti di scritte e loghi in zone dove poi, in fase di realizzazione, magari potrei incontrare sorprese sgradite come sfoghi e/o prese d’aria non previste, staffe, ganci, eccetera. Utilizzo ancora spesso le viste tecniche, ma da quasi una decina d’anni sfrutto varie piattaforme SIM racing (prevalentemente il versatilissimo rFactor) per sfornare dei render 3D veloci ma funzionali delle mie proposte. Se il tempo lo permette, talvolta riesco a realizzare anche brevi video. Anche in questo caso, l’effetto è molto accattivante ma utilissimo per studiare la resa in action del lettering, l’efficacia della decorazione e la visibilità dei vari sponsor con la vettura in movimento.
Quindi ricapitolando, una giornata di lavoro per una prima proposta, tempo necessario per eventuali modifiche e poi si passa alla realizzazione. Qua il discorso è molto variabile, a seconda della complessità del progetto, se lo stesso sarà realizzato prevalentemente via wrapping o con tradizionale vinile pre-spaziato. Variano sia i tempi di preparazione del materiale (stampa, laminazione, taglio eccetera) che quelli di applicazione. Ma per una singola vettura, mediamente completa con un progetto mediamente complesso, possiamo individuare una giornata scarsa di preparazione più 4/5 ore per la decorazione vera e propria.
Per creare una livrea quant’è importante il rapporto con il pilota che te la commissiona? È più facile o difficile fare un buon lavoro per qualcuno a cui sei legato aldilà del lavoro?
Una buona empatia sia con un cliente abituale che con un nuovo cliente indubbiamente aiuta tantissimo. Generalmente, se c’è comunione di idee oppure completa fiducia nelle idee che propongo io si ottimizzano notevolmente i tempi già diminuendo le modifiche al progetto finale rispetto alla prima proposta. Voglio dire, se la richiesta è chiara e comprensibile è molto più semplice beccare al primo colpo la strada giusta, l’idea perfetta, creare qualcosa e realizzarlo velocemente con successo e soddisfazione sia mia che del cliente. Se invece ci sono elementi contrastanti o situazioni tipo “Poi dovrai aggiungere anche due tre cose che ti dirò …” ho spesso la sensazione di camminare al buio, di lavorare a qualcosa con dei pezzi mancanti. Sono cose che rallentano giocoforza il processo creativo, rischiando di minare anche l’efficacia, la resa del risultato finale. Ma sono situazioni frequenti in questo ambiente, soprattutto negli ultimi tempi. Però la passione riesce a colmare e a risolvere tutti i problemi. Anche perché, a causa della passione che non sono mai riuscito a sopire per il motorsport, il mio non è mai un semplice lavoro di grafica realizzato da un grafico.
Come detto, ogni volta che mi addentro in un nuovo progetto scavo a fondo mille aspetti preliminari e, già prima di cominciare, quel progetto è davvero subito “mio”, lo sento e lo immagino in prova speciale, in pista, ipotizzo varie situazioni. Qualcuno dice che vado fuori di testa, ma la verità è che non riesco ad estraniarmi dal mero lavoro di immagine, di grafica: lo vivo, mi ci ficco dentro, sono già lì. Va da sé che molto ma molto raramente riesco a non legarmi a qualcuno aldilà del semplice lavoro richiesto. Voglio dire, a livello conoscitivo, di raccolta informazioni, si finisce quasi sempre a parlare della gara, di aneddoti, di vissuti e di progetti futuri che magari non sono collegati direttamente alla livrea in questione, ma che possono aiutarmi nella mia progettazione. Una condivisione in cui scivolo spesso e che raramente riesco ad evitare. Ergo, non riesco quasi mai a NON legarmi ad un cliente aldilà del singolo lavoro, ma si attua sempre in breve un certo legame in più, un interscambio di opinioni, gusti, esperienze costruttive per entrambi. Ogni mio progetto lo vivo ancora con passione ed è anche per questo che poi finisco per chiamare “le mie bimbe” ogni vettura decorata o semplicemente ogni livrea anche solo progettata.
Qual è la livrea che ricordi con più affetto? E quella che non avresti mai voluto realizzare?
Domanda difficile. Se ti rispondo che faccio fatica ad individuarne una sola su tutte mi credi? Per il discorso affettivo di cui sopra, più o meno tutte le considero come mie figlie, non riesco a valorizzarne una più di un’altra.
Ricordo con soddisfazione qualcuna molto prestigiosa cui ho già accennato nella mia lunga introduzione. Ma allo stesso modo ricordo la decorazione della mia Uno 70 gr.A del mio maldestro tentativo da pilota nel rally sprint di casa. Però, forse a causa della vecchiaia che incalza (ah no, siamo giovani … dentro) posso citare con affetto il Subaru WAR Racing del 2013, realizzato occasionalmente dall’idea alla decorazione finale, che ha segnato di fatto il primo passo della mia rinascita. Rinascita per la quale oltre a Silvietta, voglio ringraziare anche Jenny Rubini che mi procurò il contatto (benedette vecchie amicizie) il “Pukky” di Udine mio compagno e collaboratore in quella avventura e ovviamente Stefano Guerra di WAR Racing per la fiducia accordata in quella occasione e nelle successive.
Poi, e chiudo, merita sicuramente un posto particolare la mia recente trasferta in Toscana a preparare personalmente la Land Cruiser e il truck di assistenza in questo momento in viaggio su un cargo per il Perù, destinazione Dakar 2018 di Stefano Marrini. Ho trascorso 20 giorni in Italia ripiombando in ritmi e automatismi che non pensavo ancora così attivi dopo tanti anni. Giornate densissime e davvero piene di lavoro, dal primo mattino fino a notte fonda, weekend compresi. Progettazione, modifiche, taglio, applicazione, variazioni, imprevisti e soprattutto amicizia. Oltre ai due mezzi per il Sud America abbiamo realizzato anche un Pajero completo e sistemato un altro, con i quali, a metà mia trasferta italica, abbiamo fatto tutti insieme un blitz una tantum a Tirana in Albania per una 24h offroad di test. Per finire, ho condiviso la prima parte del viaggio del truck con carrello e Land Cruiser al seguito verso il porto francese di La Havre, in cabina nel camion fino a Piacenza, da cui io ho proseguito il viaggio di rientro a Fuerte via terramare con un altro amico a bordo di un Beta Coupé ASI che probabilmente utilizzeremo qui alle Canarie nel 2018 per qualche regolarità historic o qualcosa di più.
Lavoro, orari tirati, chilometri, fatica, soddisfazione. Ma soprattutto passione, senza passione tutto questo non sarebbe mai stato possibile. Non divago con il discorso, ma solo per farti capire come ogni singolo progetto poi finisca sempre per coinvolgermi e trascinare con sé una scia di aneddoti e ricordi che esulano dalla semplice livrea o dal mio rapporto con il cliente. E tieni presente, parlando di empatia, che ad esempio io collaboro con Stefano ormai da quasi tre anni, ma che di fatto ci siamo incontrati e conosciuti di persona solamente poche settimane fa, da lui. Con una buona collaborazione si lavora bene anche a distanza. Senza la necessaria empatia non si va da nessuna parte. Se poi vuoi sapere invece se ricordo qualche livrea che non avrei mai voluto fare la risposta è molto semplice e schietta, sintetica: quelle che non mi hanno mai pagato.
Per chiudere, qual è secondo te la livrea più bella di tutte in assoluto, quella che ogni volta che la vedi ti fa esclamare “avrei voluto essere io l’autore”?
Beh, sarò banale ma credo che i colori Martini Racing non li batta nessuno. Una vera e propria icona di marketing e immagine sportiva, capace sia di far ricordare con nostalgia a gente con i capelli grigi come me, così come di far sognare ragazzini che quell’epoca lì non l’hanno potuta vivere direttamente. Attenzione, non mi riferisco solamente al lungo capitolo Lancia Abarth e al prolungamento Jolly Club Ford, ma anche al passato di Porsche e al ritorno da qualche anno del brand sulla Williams F1. Quella combinazione di blu, navy e rosso con tocchi di oro a specchio, bianco e nero rimane secondo me immortale. A dire il vero, io una Delta Martini l’ho anche disegnata, partecipando nel 1992 ad un contest di Rombo e Martini Racing, conquistando assieme ad altri 15 scarabocchiatori l’accesso alla Mandria. Una giornata indimenticabile, guidati dal cicerone mai dimenticato Giorgio Pianta e conclusa con alcuni giri a bordo delle Delta Evo gr.A in pre-Sanremo (quello vinto da Aghini) passeggeri di Kankunnen, Aghini o Auriol (che capitò a me) Bellissimi ricordi.
E che dire del 037 in piega che sentii di voler disegnare molti anni prima. Una delle ultime foto di Attilio Bettega impegnato in quel Tour de Corse là. Un disegno che consegnai a Perissinot su a Piazzale della Puppa in occasione del Piancavallo 1986. Ho sempre agito di pancia e mi ricordo che solo in quell’attimo mi preoccupai della sua reazione. Invece ‘Icio, dopo un primo attimo in cui si scurò nel vedere quella macchina, mi ringrazio tantissimo e mi mandò in segreteria da Dusy Marcolin a ritirare un pass che mi aprì tutte le porte di quell’edizione, l’ultima dei gruppi B. Di lì a poco avrei compiuto 18 anni, ma credo di non essere ancora mai diventato adulto.
Ho continuato a disegnare e a scontrarmi con i colori Martini. Come quando nel 1993 Pucci mi chiese se avevo qualche idea per la Delta del suo rientro al San Marino, dopo i mesi di stop a causa di una caduta in moto (…) Siccome lo ritenevo un artista del volante e della terra, gli buttai giù (quella volta ancora a mano) due versioni visionarie, una ispirata alle opere di Kandinskij e l’altra a quelle di Miró. Mi ritelefonò a pochi giorni dalla gara per ringraziarmi, ma per comunicarmi che Mauro (Nocentini) gli aveva messo a disposizione un Delta Martini … manco a dirlo che fu un rientro vincente. E poi più recentemente, era il 2 Maggio 2013, in piena mia rinascita.
Un altro omaggio a Henri, Sergio, Attilio e ‘Icio, questa volta raffigurati con le loro 037 e S4 affiancate in una immaginaria prova speciale tra le nuvole. Stesso numero, stessa marca, stessa gara, stesso sponsor, sempre Martini. E ancora, Rallylegend 2015, vittoria nel contest Freem/AutoSprint per la t-shirt celebrativa del trentennale della S4. Claudio Lombardi mi fece i complimenti, perché secondo lui avevo colto in pieno il senso dell’evento. Però replicai perché io l’avevo solamente disegnata, ma lui e il suo staff quella macchina là l’avevano immaginata e fatta nascere, trent’anni prima. La foto con Claudio Lombardi e quella maglietta con la sua creatura che non ho disegnato io, al tempo. L’avevo semplicemente riprodotta trent’anni dopo. Ma adesso basta amarcord e basta Martini, altrimenti mi ubriaco. Comunque, tengo a precisare che ogni volta mi capiti di apprezzare una livrea disegnata da qualcun altro non penso mai “avrei voluto disegnarla io”. Se ciò che vedo mi colpisce davvero cerco piuttosto di imparare qualcosa di nuovo e, se conosco l’autore, mi complimento sinceramente con lui.
Mi viene spontaneo, forse perché so benissimo quanto possa essere gratificante e importante l’apprezzamento del tuo lavoro. Molte volte più di un saldo fattura.
Grazie mille Stivi, per l’intervista e per averci aperto il tuo incredibile database di immagini che i nostri lettori apprezzeranno sicuramente.
Grazie a voi!
1 Commento
Andrea
Ma uao… Veramente. Ho scoperto quest’articolo grazie al “diventare livreatore” cercato su Gugol. Im realtà mi piacerebbe anche se la mia passione è piuttosto casereccia, anch’io utilizzo videogames (non per pc e così simulativi) ma che mi permettono di creare roba non troppo sofisticata ma neanche troppo da buttar via. Volevo capire se in questo settore si lavora solo per conoscenze o è possibile entrarci professionalmente, magari con qualche scuola…