Purché se ne parli (il giusto e in un certo modo)
Tempi duri per gli appassionati di rally queste settimane. La smania di sapere cosa succederà il prossimo anno è tanta e le notizie che escono sono centellinate. E quando c’è qualcosa di cui parlare, non a tutti piace che lo si faccia.
Sembra un paradosso ma è così. Veniamo da giorni dove la polemica ha dominato la scena e spendere due parole mi pare il minimo sindacale. Ma facciamo un passo indietro, giusto per capire da dove nasce questo editoriale.
Partiamo con Monza e con il solito maremoto di polemiche che ogni anno riesce a generare. Dato per assodato che non lo si possa chiamare rally per il tipo di gara che è, dire Monza vuol dire inveire contro Rossi e la sua flangia e contro chi decide di partecipare poiché “venduti”. Intanto però Hyundai Motorsport decide che quella è la kermesse giusta per presentare al mondo la nuova i20 è tutto il mondo ne parla.
Poi arriva l’iniziativa di Simone Campedelli che decide di indire un concorso per selezionare un navigatore di riserva per la prossima stagione. Un primo momento dove la cosa viene accolta con interesse e come una bella occasione per chi vuol provarci e poi una figura storica a sollevare un polverone per la poca “pudicità” dell’operazione. Il grido è sempre quello “ai miei tempi……”. Intanto Orange1 conferma di voler continuare nei rally e garantisce un programma solido.
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Sono solo due esempi ma potrei andare avanti mezz’ora a raccontarvi questo giochino al massacro che parte dagli appassionati e sfocia negli addetti ai lavori. Eppure ad ogni intervista con un pilota o chiacchierata su una speciale la risposta è sempre quella: “serve più visibilità per i rally, che i grossi media ne parlino e attirino l’interesse degli sponsor”.
Bene. Tutto vero. Tutto bello. Ma chi deve decidere se investire in uno sport ,di certa visibilità ha bisogno per dare un senso a quei soldi che non servono solo a colorare una livrea. Ed è normale che anche i social network entrino a far parte di questa dinamica fatta tanto per creare visibilità quanto per coinvolgere quelle persone senza le quali le gare non esisterebbero più: i tifosi.
Nessuno rinnega la storia e la sua grandezza ma a furia di usarla sempre come paragone rischiamo di trasformare le gare di rally come ad un teatrino per puristi e nostalgici. Mettiamoci il cuore in pace. I tempi sono cambiati e con loro anche i rally.
E allora occorre capire che esiste un lieve compromesso che forse conviene accettare perché serve. Magari non ci fa impazzire lì per lì ma basta tapparsi un attimimo il naso e passa. E i social va benissimo usarli per sfogarsi e spiegare a tutti come si potrebbe salvare il mondo ma, si potrebbe anche provare ad usarli per raccontare a tanti non appassionati quanto sia meraviglioso questo sport. Anche quella è visibilità che serve e, al massimo, farà incazzare qualche vostro amico stufo di sentirvi parlare sempre della stessa cosa.